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Il suo nome è legato indiscutibilmente all’idea di festa ed appartiene alla scuola romana dei cantautori. Differente da quella genovese per i toni delle canzoni che hanno come base uno spirito disimpegnato e festoso.

Lo scorso giugno ha compiuto 70 anni e mezzo secolo di carriera. Decide così di festeggiare, questi eventi con un lavoro che propone tre canzoni dell’Artista e alcuni successi: “Il Pullover”, “Sei diventata nera”, “Stessa spiaggia, stesso mare” e “Con te sulla spiaggia” erroneamente attribuite con un nuovo arrangiamento. Quelle canzoni, afferma lo stesso Vianello: «che facevano il verso ai miei successi estivi.»

Al microfono di Patrizio LONGO incontriamo Edoardo Vianello per raccontare di “Replay….l’altra mia estate”. Bentrovato!

Grazie, grazie!

Ed eccoci qui, a parlare di un album che, in un certo senso, raccoglie storia della musica italiana. Di quella musica che si riallaccia ai cantori della scuola romana, di quella musica un po’ spensierata. Come nasce l’idea di "Replay – L’altra mia estate"?

Nasce dal fatto che negli anni ’60, oltre alle mie canzoni, c’erano anche quelle di miei colleghi che, in un certo senso, mi facevano il verso. Sfruttavano l’onda del successo delle mie canzoni per inserirne qualcuna che magari avesse le stesse caratteristiche. Quindi spesso queste canzoni mi sono state attribuite, anche se non le ho mai cantate. Allora ho pensato, in tempi non sospetti, di cantarle tutte io, anche perché gli interpreti originali non cantano più, o non le hanno più nel loro normale repertorio. Sono canzoni rimaste a spasso, orfane.

Potremmo dire che “Replay” è un album nato un po’ dall’equivoco?

Sì, certo! E per alimentare ancora l’equivoco!

È stato divertente reinterpretare canzoni di altri Artisti, dando loro un nuovo arrangiamento?

Sì, è stato curioso, anche perché non avevo mai ascoltato queste canzoni con molta attenzione. Naturalmente, nel momento in cui dovevo cantarle dovevo anche capirle a fondo, e mi ha sorpreso che alcune siano molto ripetitive come testo, limitate ad alcuni piccoli giochi di parole. Fatta questa scoperta, ho cercato di colmare con l’arrangiamento quelle che secondo me erano le lacune di queste canzoni. Altre, invece, sono carine in partenza e sono contento di averle rifatte.

Mi racconta l’atmosfera che si respirava nelle sale da ballo nei primi anni ’60?

Era un’atmosfera di curiosità, quando arrivava un artista, perché un tempo i cantanti non si vedevano in televisione. Li si sentiva in radio, o nei jukebox, quindi vederli era sempre un evento. Oggi c’è una certa inflazione dell’immagine, quindi manca la sorpresa, la curiosità, se non per le grandissime vedette. Per i cantanti normali, che fanno musica con serietà ma che non riescono a fare 50.000 persone in uno stadio, non c’è più quella morbosità che invece un tempo era riservata a tutti i cantanti.

"Replay – L’altra mia estate" è un disco uscito in supporto CD, e proprio in questi giorni è uscita una stampa in edizione limitatissima su vinile. Questo per rievocare, e per tributare, un supporto che per anni ha rappresentato la vostra musica nel mondo?

Il vinile ha conservato un grande fascino e io credo che, per gli amanti di questo genere di musica, potergliela proporre anche su vinile può significare arricchire una collezione. Si tratta di una tiratura limitatissima, che uscirà ad ottobre. Ho voluto fare anche questo omaggio, a chi ama questo genere.

Ritornando al fervore artistico degli anni ’60, lei è stato anche un abile talent scout. La musica di allora, rispetto a quella di oggi, aveva un carattere più scanzonato, più allegro?

Non più allegro: se pensiamo a cantautori come Paoli, Tenco, Bindi, Endrigo o De Andrè, erano abbastanza malinconici, non è che fossero proprio spensierati. Erano anche impegnati in quello in cui scrivevano. Quella degli anni ’60 non era soltanto musica allegra, anche se la gente ama ricordare i momenti allegri della propria vita, e tende a cancellare quelli più tristi. Si affeziona ai motivetti più allegri, fermo restando che le grandi canzoni degli anni ’60 sono ancora rispettate. Il ricordo delle canzoni allegre fa credere che quello fosse un periodo incosciente e spensierato, mentre in realtà era complicato come lo è oggi.

Era il 1962. Volgiamo lo sguardo al grande schermo: arrivano due canzoni, che sono considerate degli evergreen, sempre sulla scena del revival. "Pinne, fucile ed occhiali" e "Guarda come dondolo", che divengono la colonna sonora del film "Il sorpasso", di Dino Risi. Come si trova a sonorizzare delle canzoni per un film. È stata una bella avventura. È venuta prima la canzone o l’idea del film?

Non c’è stato alcun rapporto tra me e il regista. Io, da semplice spettatore, sono andato al cinema a vedere il film e mi sono accorto che dentro c’erano le mie canzoni. Per cui mi sono accorto che il regista aveva scelto le mie canzoni perché rappresentavano perfettamente quell’estate. Siccome erano state tutte e due dei grandi successi, le ha inserite. La cosa mi ha fatto molto piacere, perché il film ha contribuito a far rimanere in auge queste canzoni.

Talent scout, abile scopritore di talenti. Ricordiamo anche “Apollo Records”, l’etichetta da lei gestita, e la scoperta dei Ricchi e Poveri, Franco Califano, di Zero e di Minghi. Ha creduto subito in questi talenti?

Nel momento in cui la mia popolarità è un po’ calata, perché il genere allegro non era compatibile con il ’68, mi sono fermato e ho cercato di portare avanti con altri cantanti la mia vena intuitiva. Proprio con Califano varammo questa etichetta discografica, la notte dello sbarco sulla luna dell’Apollo – da qui il nome dell’etichetta. I Ricchi e Poveri sono stati i primi artisti che abbiamo scritturato, riuscendo a portarli a Sanremo con “La prima cosa bella”, e quindi a lanciarli con forza. Ovviamente sulle scie di questo entusiasmo abbiamo allargato la ricerca di giovani talenti, e fra i tanti che si sono presentati per un’audizione sono capitati Renato Zero e Amedeo Minghi. Li ho scritturati entrambi, perché avevo intuito che avessero dei grandi numero. Però erano molto avanti coi tempi. Infatti io non sono riuscito a portarli al successo, ci sono arrivati dopo dieci anni. La mia era una piccola casa discografica, non avevo la forza di trattenere per dieci anni un artista che vuole esplodere. Però, per lo meno, ne avevo intuito il talento e la predestinazione al successo.

Negli anni ’60, cosa ascoltava Edoardo Vianello, oltre ai propri dischi e ai propri lavori?

I miei punti di riferimento sono stati Domenico Modugno, il papà dei cantautori, quello che ci ha fatto capire che non era necessario avere una bella voce per cantare, ma che era importante cosa si diceva e come lo si diceva. Un maestro involontario, io pendevo letteralmente dalle sue labbra… cioè dai suoi dischi. E poi avevo una fissa per Ray Collins, che infatti adesso si trova, ogni tanto, negli arrangiamenti dei miei pezzi – che in realtà curò Ennio Morricone: riuscii ad influenzare anche lui con la mia passione per Ray Collins.

Avrebbe mai pensato che, a distanza di 50 anni, la sua musica potesse primeggiare nell’olimpo delle canzoni sempreverdi?

Di certo non l’avrei mai immaginato, pensavo che la vita artistica di un cantante potesse durare otto, dieci anni. Il tempo in cui si è giovani e aitanti. Infatti, con l’apertura della casa discografica, pensavo di poter rimanere nel campo facendo altre cose: il produttore, o l’impresario. Non credevo che una carriera potesse durare più di 50 anni. Invece mi sono accorto che più si va avanti, più si impara: ad affrontare il pubblico, a stare sul palcoscenico. L’esperienza ti fa capire che è un mestiere nel quale, salute permettendo, si può rimanere protagonisti.

Un ultima domanda, prima di salutarci. È l’anno 1961, e parliamo di una canzone scritta insieme a Sergio Bruni, Claudio Villa e Sergio Endrigo. S’intitola "Che freddo". Che ricordo ha di questi grandi artisti della scena italiana?

Non l’abbiamo scritta insieme, si tratta di una mia canzone che hanno interpretato anche loro. Io la presentai al Festival di Sanremo nel ’61, dove non ebbe nessun successo a causa della differenza rispetto al mio genere consueto. Però ebbi diverse incisioni di quella canzone, oltre a quelle già citate. Ce n’era una di Mina, che ovviamente mi inorgoglì moltissimo, anche perché lei la mise sul retro de “Le mille bolle blu”- la canzone che cantò a Sanremo. E quindi anche dal punto di vista economico fu una gran soddisfazione. Però la canzone in sé non ha avuto molto successo. Io penso che sia una canzone molto interessante.

In una battuta conclusiva: il nome di Edoardo Vianello è indiscutibilmente legato all’idea del divertimento, del ballo, del ritmo del twist, del surf, dell’hully-gully. Tanti i successi, tra cui “I Watussi”, “Abbronzatissima”, “Hully-gully". Con quale spirito scriveva una canzone?

Con lo spirito di quello che lo faceva tanto per divertirsi, incoscientemente, senza calcoli di mercato, perché allora non se ne facevano. Di getto, così come mi venivano. Tra l’altro io ho collaborato sempre con lo stesso paroliere, Carlo Rossi, che era geniale nelle sue trovate. Riusciva sempre a creare uno slogan quando mi dava il testo per una canzone. Quindi l’ho fatto così, senza marketing, senza ricerche particolari sui gusti del pubblico. Semplicemente offrendo quello che mi veniva in testa. Spesso questo ha coinciso coi gusti del pubblico, e quindi è andato bene.

Grazie ad Edoardo Vianello, e soprattutto grazie per averci regalato tanti successi. Spero che ce ne regalerà altrettanti.

Grazie a voi.

Alla prossima, arrivederci

Buon ascolto a tutti, arrivederci.

Ascolta intervista audio.

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