Dove nasce l’idea di comporre un album rivisitando la storia della musica italiana dagli anni ’30 agli anni ’80. Avete avuto un certo timore reverenziale nel dover reinterpretare questi successi storici?
E’ stata un’idea del nostro produttore Annibale Bartolozzi mediata dal fatto che da sempre abbiamo nei nostri ascolti la musica italiana “d’autore”. Ad esempio il papà di Lorenzo, il nostro cantante, gli ha fatto sempre ascoltare Carosone, Murolo, Quartetto Cetra, etc. Noi d’altronde sin dal primo disco ci siamo cimentati in riletture di canzoni come “Azzurro” di Paolo Conte e o canzoni disimpegnate come “ Donatella “ della Rettore o “Qua si campa d’aria” del folk singer calabrese Otello Profazio e via dicendo. Un po’ di timore reverenziale c’è stato, tuttavia il confronto con tali canzoni ci ha lasciato una nuova sensibilità nella scrittura dei testi e nella tessitura delle melodie. Lorenzo, dopo questo disco, ha colorito molto il suo modo di cantare, adesso ha una nuova verve.
Come fate a trasmettere nuova carica a brani vecchi anche di cinquant’anni, tanto da farli apprezzare ad un pubblico giovane, che spesso prima di riascoltarli da voi non li amava o non li conosceva neanche?
Molti degli arrangiamenti dei brani sono molto spontanei, poco pensati e molto istintivi, per molti brani abbiamo tenuto buoni gli arrangiamenti iniziali quelli che ci sono venuti fuori di prima “botta”. Poi naturalmente in fase di post produzione abbiamo aggiunto altri suoni e altri strumenti.
Ascoltiamo tanta roba vecchia tipo the Who e Yes ma anche cose che spaziano dai Mau Mau a Dounia a Enzo Avitabile e Bottari a Capossela o cose come Jeff Buckley o No FX ?!?!, quindi nel disco ci sono varie influenze che hanno reso gli arrangiamenti molto moderni.
E’ evidente che le influenze musicali nei Folkabbestia sono tante. Invece qualcosa cui proprio non v’ispirate e che non riuscite proprio ad ascoltare?
Personalmente la “fusion” mi fa venire mal di testa, penso che nell’autoradio del nostro furgone non sono mai entrate robe di pop commerciale tipo musica da MTV senza anima e cuore e la musica di radio commerciali che perpetuano le vuote piacevolezze.
Siete conosciuti come una band che dal vivo riesce ad esprimere tutto il suo potenziale, non solo musicale ma anche nel messaggio che cercate di lanciare. Come spiegate questo fenomeno di trasporto che riuscite a trasmettere nei concerti. In generale come interpretate il nuovo boom dei live che stiamo vivendo in Italia da qualche anno?
Perché siamo un gruppo nato in cantina, in sala prove.Il nostro suono è frutto di ore e ore di prove nelle quali abbiamo creato il nostro modo di suonare che portiamo con noi sul palco. Credo che di cd se ne vendano sempre meno per vari motivi e quindi il concerto rimane il momento e il luogo privilegiato dello scambio tra il pubblico e il musicista, un rapporto che nel campo discografico e televisivo invece soffre della presenza di produzioni superconfezionate dal sapore di plastica e di canzoni depurate e pastorizzate. Credo che la gente abbia bisogno di ritrovare un rapporto vero e la piazza, il concerto sono un momento di forte aggregazione.
Nelle vostre liriche non mancano i messaggi politici. Che ruolo ha oggi l’argomento politico nella musica rispetto a qualche anno fa, è rimasto invariato secondo voi o qualcosa è cambiato? I “Folkabbestia” come cercano di inserirsi in questo discorso a volte difficile da affrontare?
Come diceva John Lennon , ogni azione che l’uomo fa è politica, dallo scegliere i prodotti al supermercato alla comunicazione. Non per questo non amiamo il divertimento e le bischerate per il solo piacere di farle. Ecco nella scelta dei brani di 25.60.38 abbiamo assecondato vari messaggi, da quelli più impegnati a quelle più divertenti. Il benessere diffuso ha inibito l’apporto di impegno sociale degli artisti a livello internazionale. In Italia credo che sia rimasto invece molto vivo a livello di musica indipendente, mi riferisco a una serie di gruppi Hip Hop che secondo me hanno portato avanti il discorso sui testi impegnati e rivolti al sociale. Qualche vecchia quercia , ad esempio Neil Young o i Pearl Jam sono usciti ultimamente sul mercato con dischi che trattano della guerra e dei suoi effetti nefasti e delle scelte scellerate dei capi di governo.Sono argomenti di cui si dovrebbe sempre parlare considerando che si stanno consumando dolorosissimi genocidi di innocenti e civili a causa di grossi interessi economici e che non ci siamo lasciati le guerre alle spalle con il secolo scorso. I FOLKA.