Compositore e musicista che spazia le propria creatività fra lo scrivere canzoni e libri.
Durante questo percorso ha avuto l’opportunità di lavorare con artisti come Mauro Pagani e Morgan, ha dato un contributo al progetto WE7, promosso da Peter Gabriel e si è affacciato nel mondo virtuale di Second Life dove ha proposto alcuni live.
Incontriamo al microfono di Patrizio Longo lo scrittore Roberto Tardito autore del libro: Angelo Branduardi: cercando l’oro (2010 – Arcana) per conoscere i motivi che lo hanno portato a rendere tributo al “menestrello” della musica italiana. Bentrovato Roberto.
Bentrovato a te, Patrizio.
Perché un musicista decide di scrivere un libro su un altro musicista?
Ad istinto ti risponderei scherzosamente che l’ho scritto per invidia. Penso che la carriera di Angelo sia tra le più interessanti nel nostro panorama internazionale. Ci sono stati momenti alti, momenti altissimi, momenti normali e momenti bassi, come in ogni carriera. Però ci sono così tanti incontri particolari, intuizioni importanti. Sono sempre stato affascinato da chi è riuscito ad inserirsi in contesti storici senza cavalcare l’onda. Andando, anzi, controcorrente. Sotto un altro punto di vista mi ha sempre affascinato la sua attività dal vivo, più ancora che i dischi. Dal vivo Angelo è sempre stato una forza della natura, ascoltando un disco come Concerto o guardando filmati di concerti, anche e a maggior ragione quelli d’epoca, ci si può chiaramente rendere conto di questo. Probabilmente vedo la carriera di Angelo dal mio punto di vista di musicista, e quindi con un occhio particolare… In questo senso Cercando l’oro non è una biografia tradizionale, è un libro su un musicista scritto con stile da musicista.
Un titolo che rimanda ad un disco di Branduardi, perché proprio Cercando l’oro (1983)?
Ho scelto il titolo Cercando l’oro perché mi sembra che rappresenti bene la ricerca musicale che Branduardi ha portato avanti negli anni. Non si è mai accontentato, è sempre andato alla ricerca di nuove sonorità, anche nel momento di maggior successo commerciale, nel quale avrebbe potuto continuare a sfornare dischi-fotocopia. Album come Branduardi canta Yeats, Il ladro o Si può fare sono un chiaro esempio di questa ricerca.
Branduardi è collezionista di strumenti, soprattutto antichi?
Sì, colleziona moltissimi strumenti antichi. Come però ripete spesso lui, si considera esclusivamente un violinista, essendo il violino lo strumento con il quale si è diplomato giovanissimo al Conservatorio di Genova. Gli altri strumenti li colleziona principalmente per passione e li suona solo raramente, e comunque mai nei suoi concerti.
Potremmo considerarlo un musicista di altri tempi per cultura e stile?
Angelo è sempre stato avanti proprio perché andava indietro. Se pensiamo alla ricerca delle radici musicali europee e delle sonorità antiche possiamo senz’altro considerarlo tale. A differenza di molti musicisti di musica leggera è uno dei pochi ad avere una vera preparazione classica. Senz’altro questo è stato un punto a suo favore, perché ad affrontare percorsi musicali di questo genere senza preparazione si può rischiare di cadere nel kitsch.
Quali sono gli spunti che ti hanno portato a scrivere un libro?
Sai, nel corso degli anni ho raccolto e incontrato sulla mia strada così tanto materiale, interviste, testimonianze che, ad un certo punto, è venuto naturale dargli una forma organica.
Branduardi afferma che il suono della musica americana non è ristretto come quella europea. In quanto è un suono fatto di spazi e tempi. Su cosa è basata questa teoria?
Credo che Angelo intenda dire che la musica americana ha più spazio, portando in sé la vastità degli spazi della terra dalla quale proviene. Probabilmente la musica europea, soprattutto nel campo del rock, è più “claustrofobica”, più chiusa in se stessa. Se tu ascolti un disco di Springsteen puoi notare come lo spazio e il senso di apertura siano addirittura dirompenti.
Dove trova origine a tuo avviso, il senso della religione così radicato nel compositore, Branduardi?
Già i primi dischi erano pieni di riferimenti spirituali. Mi riferisco a canzoni come Il funerale, Il dono del cervo, o la stessa Alla fiera dell’est. La musica è un fatto spirituale, almeno tanto quanto è un fatto carnale, e sin dall’antichità è stata sempre legata alla religione e alla spiritualità . Credo sia inevitabile che, in questa continua ricerca delle radici, la musica di Branduardi porti in sé questi elementi. Poi, nel corso degli anni questa spiritualità ha preso nuove strade, fino ad arrivare all’album L’infinitamente piccolo, dedicato alla figura di San Francesco e alla sua trasposizione teatrale nella forma della “Lauda”.
L’amore per la natura e per il fiabesco sono gli elementi primari nella composizione?
Soprattutto nella prima parte della sua carriera la natura e il fiabesco hanno dominato l’immaginario branduardiano. In un momento storico iper-realista lui ha perseguito la strada dell’irrazionalità. Probabilmente è stato questo il motivo per cui ha avuto tanto successo in un periodo nel quale i suoi colleghi cantautori trattavano argomenti ben diversi. Con gli anni, poi, Angelo ha progressivamente abbandonato questa strada, e questi elementi di cui parlavi hanno perso la loro predominanza. Pur non essendo mai abbandonati del tutto.
Cosa ti ha particolarmente interessato di questo percorso, quale aspetto?
Cercando l’oro è stato un bel viaggio, un’ulteriore scoperta e l’incontro con una musica a cui probabilmente sono molto vicino. E poi sono contento della forma che ho dato al libro. Detesto cordialmente le biografie dedicate ai musicisti nelle quali si analizzano le gesta oppure, peggio, le canzoni. L’idea di violentare così una musica e delle parole così prive di interpretazioni univoche mi avrebbe fatto senz’altro desistere dall’impresa. E, conoscendo Angelo, penso che mi avrebbe messo le mani addosso anche lui, aggiungendole alle mie!
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Foto: Gianluca Simoni