Un noto palcoscenico quello dell’Italia Wave Love Festival 2010 li nomina vincitori della selezione regionali 2010. Con un suono tra il new wave e il post-punk che non sembra datato ma al passo con i tempi si presentano con il loro primo album in licenza Creative Commons.
Un noto palcoscenico quello dell’Italia Wave Love Festival, li nomina vincitori delle selezioni provinciali 2010. Con un suono tra il new wave e il post-punk che non sembra datato ma al passo con i tempi si presentano con il loro primo album in licenza Creative Commons.
Al microfono di Patrizio Longo i Playontape, in voce Giuseppe Muci. Bentrovato?
Ciao Patrizio, grazie dell’incontro. Il vostro primo album propone un suono dallo stile new wave anni ’80 che non sa di rifacimento ma di nuovo.
Una musica che avete sempre ascoltato, diciamo, che fa parte di Voi?
Sicuramente si tratta di uno stile musicale che ci piace molto, e che ci accomuna; ma essendo in quattro, tutti con storie musicali più o meno differenti, ci capita di prediligere anche band che possono essere abbastanza distanti; tra di noi c’è chi è cresciuto a Smiths e Joy Division, chi adora Sonic Youth e My Bloody Valentine>, chi ascolta Radiohead e Placebo, e la lista potrebbe essere ben più lunga. Quando siamo nella saletta poi ognuno cerca di tirare fuori qualcosa di suo, di creare qualcosa di personale e nuovo.
Sono tracce quelle contenuto in A Place to Hide che avevate già realizzato e raccolto per questo cd?
Quelli contenuti A Place to Hide sono pezzi che raccontano la prima fase dei Playontape, dalle primissime prove fino all’estate del 2010, quando siamo entrati nello studio di registrazione, quindi sono nati in poco meno di un anno. Non sono stati composti pensando ad un disco, per lo meno non da subito.
Playontape, sembra un gioco di parole?
ll nome è venuto fuori quasi per gioco, ci è piaciuto il suono della parola, oltre ai rimandi insiti in essa che portano alla mente un periodo – quello della musica su nastro e del Commodore 64 – che per ragioni anagrafiche accomuna tutti i componenti della band. Equilibrio quasi perfetto fra suono acustico ed elettronico, una scelta voluta? Ci piacciono i contrasti e i chiaroscuro, i vuoti ed i pieni, per cui abbiamo cercato di riprodurre queste atmosfere nel disco. Il luogo in cui viviamo è Lecce, al di là dell’aspetto che viene percepito dall’esterno, da chi non lo vive, nel profondo è pieno di contrasti. Vi caratterizza un suono dal ritmo sostenuto ma elegante, quali sono i vostri padri musicali? Non so se sia corretto parlare di “padri musicali”. Quando componiamo non abbiamo in mente come deve suonare il pezzo finito, non ci poniamo dei modelli su cui plasmare le canzoni, ma ognuno ha degli spunti embrionali, delle idee, dei suoni in mente, e cerchiamo di far convivere il tutto. I riferimenti ad altre band “più grandi” sono qualcosa che nasce a posteriori, da parte di chi ascolta la musica, e non sempre noi ci ritroviamo in certi paragoni. Come vi siete incontrati? Avevamo avuto precedenti esperienze musicali, e per brevissimi periodi alcuni di noi avevano già suonato insieme, quindi in un certo senso i Playontape esistevano già prima del gruppo stesso; poi un giro di telefonate e abbiamo deciso di incontrarci in una rimessa del nostro ex-batterista (Marco Chiffi), fare qualche prova e vedere se poteva nascere qualcosa di buono.
L’Album esce con licenza Creative Commons: perché avete scelto questo mezzo di diffusione?
Di comune accordo con la nostra etichetta, La Rivolta Records, abbiamo deciso di uscire con licenza CC perché crediamo che la musica debba essere condivisa il più largamente possibile. È anacronistico credere che il diritto di autore classico, con tutti i vincoli e le postille, ancora nel 2011 possa venire incontro alle esigenze di una giovane band. Noi suoniamo perché vogliamo che la gente ascolti la nostra musica e possa condividerla con noi, e Internet non fa altro che agevolare questo processo. Che ruolo gioca la percezione nella vostra cifra stilistica? È molto importante, ma non nel senso della pura e sterile apparenza, dell’immagine fine a se stessa. La nostra musica è essenziale: chitarra, basso, batteria, poco altro. Non usiamo grandi scenografie, non parliamo molto sul palco ma cerchiamo piuttosto di creare un cortocircuito sensoriale con il pubblico, una sorta di empatia, ed in questo senso è nata la collaborazione con H-E-M (Hermes Mangialardo), che arricchisce i nostri live-set con le sue suggestive proiezioni; lo stesso si può dire per le foto di Paolo Margari, che compongono l’artwork dell’album e che restituiscono nuova vita a luoghi ormai abbandonati. Siamo onorati di collaborare con artisti del calibro di Hemres e Paolo, tra l’altro anche loro entrambi salentini.
Foto: Archivio Playontape