Un talento innato che si apprezza fin dalle prime note di Vagando Dentro, il suo primo lavoro da cantautore. Un cd acustico, essenziale negli arrangiamenti dove sono evidenziate tematiche sociali del nostro tempo.
Al microfono di Patrizio Longo incontriamo l’autore Roberto Scippa per raccontare di questo cd. Bentrovato.
Ciao Patrizio. Quando ti sei riscoperto appassionato di musica?
Beh a casa mia si è sempre ascoltata molta musica dato che mio padre suonava, e suona tuttora, la chitarra (principalmente blues) e mi ha in qualche modo “iniziato” sin dall’infanzia, senza però forzarmi mai ad imbracciare nessuno strumento. E poi nello stereo e nel vecchio giradischi di casa per fortuna giravano spesso (anche per merito di mia madre..) i grandi cantautori italiani e stranieri, alcuni dei quali mi hanno come dire “folgorato”… A 13 anni così, senza pensarci troppo, ho preso in mano una delle varie chitarre che avevo intorno (un’acustica Ibanez modello Concord degli anni ’70) ed è iniziata l’avventura musicale che mi ha portato a cercare di riprodurre più fedelmente possibile quei riff e quei giri rock-blues ormai entrati nella storia. Praticamente da subito ho sentito poi anche la voglia di suonare e cantare insieme, come quei vari De Gregori, De Andrè, Dylan, Bennato che più di tutti mi emozionavano e ai quali mi sentivo così affine. Così con molta pazienza ho allenato dita e cervello fino a che, senza ricordare bene come, intorno ai 14 anni ho scritto la mia prima canzone, la prima di una lunga serie. Da quel momento in poi il mio godimento più grande è stato riuscire a concentrare in poche frasi pensieri ed emozioni e a farli risuonare dentro una musica che attraverso la melodia si unisse perfettamente alle parole: insomma far incontrare questi due diversi linguaggi nel modo più magico possibile è diventata da allora la mia “sfida” più grande.
Vagando Dentro è un lavoro autoprodotto una scelta voluta?
Si, è una scelta voluta che mi ha permesso di realizzare questo disco con molta calma, senza pressioni di alcun tipo.
Come ti sei approcciato alla musica, da autodidatta?
Più o meno si. Ho sempre avuto un approccio molto istintivo verso la musica. All’inizio sono stato un po’ seguito da mio padre che come musicista mi ha aiutato ad affinare “l’arte del mestiere”. Poi è stato tutto molto naturale. Ho cercato di avvicinarmi il più possibile , sia musicalmente che letterariamente, allo stile dei miei aristi preferiti e ad un certo punto ho sentito che in qualche modo iniziava ad uscire la “mia “ musica. Da allora comporre è diventata la mia cura e la mia strada preferita per esprimere ogni parte, anche nascosta, di me.
Le tematiche affrontate nel Cd sono quasi tutte di carattere sociale. La musica come messaggio per riflettere?
La musica secondo me, come del resto l’arte più in generale, se è “pura” smuove sempre i cervelli e gli stomaci. Per quanto mi riguarda comunicare è più una necessità che una scelta. Si è vero ci sono varie canzoni dove affronto tematiche sociali, quello che però mi preme è che la riflessione venga provocata sempre attraverso la poesia. Non amo quelle canzoni dove messaggi, magari anche importanti e condivisibili, sono lanciati senza nessuna ricerca poetica. Il potere evocativo delle parole determina la forza del messaggio stesso.
Adesso raccontiamo in parole di Canzone al lavoro?
Questa canzone è nata dal fatto che non avevo un lavoro.. ahahah: scherzo ma non troppo. Il lavoro oggi è diventato (forse lo è quasi sempre stato) uno dei vari mezzi di sfruttamento legalizzato, totalmente alienato dalla sua funzione originaria che credo sia quella di realizzare l’essere umano e non di distruggerlo; per questo volevo dire la mia al riguardo. Ho cercato di farlo attraverso un testo per così dire un po’ “naif” costruito su una base musicale di chitarra acustica molto scarna e tagliente.
Come senti la scena dei cantautori in Italia?
Io penso che oggi la situazione della canzone d’autore italiana non è così disperata come qualcuno vuole dipingere. Oltre ai cantautori più o meno noti (tra i quali in effetti ce ne sono veramente pochi che stimo veramente) c’è un grande movimento di nuovi artisti semi-sconosciuti che in un periodo critico come questo hanno da dire tanto: credo che quando non hai nulla da perdere esca fuori la bellezza e dato che oggi per molti da perdere (almeno economicamente) c’è veramente poco sono molto fiducioso. Spero ci siano poi sempre più persone disponibili ad investire energie, tempo e denaro su delle opere che meritino davvero di essere chiamate “opere d’arte”, e non “prodotti” per vendere il più possibile. Questo è il mio augurio per il futuro.
Nella tua musica si leggono diverse influenze che spesso richiamano allo spazio della scena rock dei Csi, CCCP ed anche a qualcosa di più morbido come De Gregori?
Si, le influenze sono tante e anche diverse fra loro. Ci sono tutti i nomi che hai citato, aggiungerei anche De andré, il primo Bennato, Gaetano e i grandi folk/rock singer d’oltreoceano: Dylan, Springsteen, Cohen, Young, Vedder sia da solo che con i Pearl Jam. In generale sono veramente tanti gli artisti (anche più “underground”) che hanno lasciato tracce più o meno evidenti nel mio modo di scrivere canzoni.
Chi ti accompagna nei tuoi concerti?
In situazioni molto piccole ed intime suono anche da solo accompagnato dalla mia chitarra, un’armonica, un tamburello “a piede” ed una loop-station con cui campiono live dei giri armonici su cui costruisco alcune canzoni. Ma in generale per presentare i brani del disco in una veste più incisiva e tagliente ho preparato negli ultimi mesi un set con la band che vede Matteo Bultrini alla batteria, Fabio Ponta al basso e Dodo Versino alle tastiere: i “compagni di viaggio” che mi hanno seguito nella realizzazione di questo primo lavoro discografico.
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