Il ragamuffin è un fenomeno che in Italia ha attecchito in particolare al Sud del paese. Dove trova le basi questa vostra avventura pionieristica?
Indubbiamente negli ultimi anni il raggamuffin è diventato, specie grazie alla scena salentina, qualcosa accostato principalmente al sud d’Italia.
E questo non solo perché dal sud provengono le cose più fresche e spontanee ma anche perché in Puglia, ma anche in Calabria e in Sicilia, ci sono stato veri e propri “ricambi generazionali” che hanno dato continuità e ampiezza alla scena. In Toscana c’è una scena sicuramente più ampia di quella dei primi anni ’90 ma non è proprio paragonabile. Io, come Generale, faccio parte di una “vecchia guardia” che bene o male ha svolto in origine un compito pionieristico, non solo approdando al DJ style sulle basi dei 45 giamaicani in un’epoca (la metà degli anni 80) in cui in Italia eravamo molto pochi a farlo (gente come Briggy Bronson, “the originator” da Savona; come le primissime cose dell’Onda Rossa Posse … come certe cose veramente seminali della crew barese che faceva riferimento ai Different Style di Bari) ma anche fornendo un esempio primigenio di come il DJ style poteva essere fatto in italiano o in dialetto … il mio brano “San Marco Skanking”, sul classico riddim Sleeng Ting che imperversava allora, risale al 1985 ed è uno dei primi pezzi dj style in italiano, sicuramente è il primo che uscì su 45 giri nel 1989 insieme all’altra tune “Non è un miraggio (Roberto Baggio)”. Queste sono le basi, sviluppate su tanto ascolto del reggae in un periodo (dall’82 in poi ) in cui noi stessi eravamo coinvolti principalmente nel punk e nelle prime rustiche dancehall organizzate in campagna con i piatti dei nostri giradischi e degli impianti artigianalissimi … ti parlo della metà degli anni ’80 quando queste cose succedevano anche altrove in Italia ma riguardavano un nucleo molto limitato di persone, non le folle che frequentano le dance odierne … poi nei primi anni ’90, non ho ancora capito bene come, improvvisamente ci fu una scoperta mediatica del ragga e del rap italiano che portò alla stagione delle posse con tutte le conseguenze che essa portò con se…Adesso stiamo assistendo ad un vero e proprio potpourri musicale. E’ difficile catalogare i generi e gli stili. Possiamo ancora parlare, a vostro avviso, di musica classificabile?
Personalmente a me sembra che oggi si viva una grande frammentazione, per cui uno sta dietro a volte al sottogenere di un sottogenere magari perdendo di vista l’apertura mentale che deriva dall’essere aperti alle contaminazioni. Io non sono un purista e credo che la contaminazione sia salutare in tutti i generi musicali, ma allo stesso tempo ritengo che sia compito di ogni musicista sia conoscere i canoni che cercare una propria strada non limitandosi all’omaggiare le cose che piacciono o a mischiarle un po’ fra loro. La classificazione, poi, è forse è un qualcosa che interessa solo i critici musicali, mentre per un musicista rischia di diventare a volte un limite. Con questo alludo al fatto che, a mio avviso, una parte della scena reggae di oggi è forse troppo presa a imitare dei canoni (come il “pull up” di rito o il ripetersi all’infinito di certe tematiche nelle liriche) piuttosto che a cercare di uscire dai canoni … e questo a volte mi sembra un po’ limitante.
“Cafè revolucion” è il titolo del vostro nuovo album. Su quali basi fonda la sua struttura?
Dunque, “Café Revolucion” è anzitutto un album che esprime il sound di una band che è la One Drop e di due cantanti io (il Generale ) e Toni (Moretto). Tengo a precisare questo fatto perché, un po’ in controtendenza con quello che avviene comunemente e, del resto, anche con quanto è successo per i miei due precedenti album, questo lavoro è tutto suonato, con strumenti veri senza usare il computer, nell’intento di fornire un esempio di quello che facciamo dal vivo. Al contrario anche del cd precedente (“Più Che Mai” del 2003), che era frutto di un lavoro svolto essenzialmente a casa con la produzione al computer di Ludus Pinski e Irie V, questo disco nasce da un lavoro di equipe, svoltosi in primo luogo in sala prove. L’intento è quello di far sentire a tutti come suona questa band e come suonano i musicisti ospiti (fra i quali c’è chi, come il sassofonista Bosketto, spesso partecipa anche a nostri live) senza i consueti “trucchi” che fanno parte della produzione digitale.
Come risulta l’ambiente posse in Italia oggi. Esiste ancora una scena?
Se intendi una scena analoga a quella dei primi anni 90 probabilmente no, le cose sono molto cambiate. Indubbiamente però oggi ci sono molte scene e un seguito enormemente maggiore sia per il reggae che per l’hip hop. L’unica cosa di cui io mi lamento un po’ è il fatto che la vita per le band è diventata più dura, per via del fatto che i sound riempiono i locali, costano meno e implicano molti meno problemi di impianto, service ecc. In questo io sono un po’ “vecchia maniera”, mi piacciono le dance, so benissimo che sono il cuore della reggae music fin dai tempi di Coxsone e Duke Reid, ma a volte per un musicista è frustrante dover trattare con locali che non recepiscono le tue esigenze e che rosicano sui cachet perché sanno che tanto hanno comunque pronto un sound e un paio di mc che riempiono il locale spendendo la metà …
Come nasce la One Drop Band?
Beh, la One Drop non è altro che la vecchia Ludus Dub Band con l’innesto di Irie V al basso e di Toni alla chitarra. Di fatto tre di noi (io, il batterista Daddy Wally e il tastierista Ludus Pinsky) suoniamo insieme dal 1982. Allora (in un periodo cruciale dell’HC punk italiano) militavamo nella harcore band I Refuse It (della quale Wide ha ristampato su cd quasi l’intera produzione un paio di anni fa). Abbiamo cominciato a suonare reggae nella seconda metà degli anni ’80, proprio poiché – a seguito delle esperienze a cui ho accennato sopra – buona parte di quello che era il giro punk di Firenze divenne in quegli anni sempre più coinvolto con la musica in levare. Le prime esperienze, all’epoca, coinvolsero una serie di musicisti africani residenti in zona e portarono alla nascita di una band di nome Village Cryers. Verso la fine degli anni ’80 da quel nucleo di persone nacque la Ludus Dub Band come ensemble che suonava per due cantanti: uno ero io e l’altro l’algerino Smail Aissa Kouider (una stella del rai in casa, tanto da riempire gli stadi quando suonava ad Algeri, che però emigrò a Firenze per fare il cuoco, mestiere che continua a fare tutt’oggi). Poi verso la metà degli anni ’90 io abbandonai momentaneamente la scena e la band si sciolse per un periodo: Fu Jaka a rimetterla assieme dapprima con il nome di Gicaru Clan e poi, al momento del mio ritorno “a casa”, con il nome di One Drop Band. Per vari anni da allora il gruppo è stato la backing band non solo per me, per Jaka e per gli altri due vocalist che si aggregarono al collettivo (il siciliano Jah Mento e il veneto Toni Moretto, già nella formazione originaria dei Pitura Freska) ma anche per altri cantanti e mc del giro toscano (come Teacher Mike, Kaas o i Bomba Bomba). Negli ultimi due anni, infine, come ti ho spiegato in precedenza ci siamo concentrati su un progetto che superasse un po’ quella dicotomia cantanti/band che si era venuta inevitabilmente a creare, concentrandosi sul progetto comune che ha portato alla realizzazione di “Café Revolucion”.
Quando si conclude la collaborazione con Jaka?
L’ultimo concerto insieme, intendo con la One Drop come band comune, risale al settembre 2005. Il punto probabilmente è che con la grande crescita artistica di Jaka a quel punto c’erano forse un po’ troppi galli nel pollaio e ci sentivamo tutti addosso un po’ di limitazione reciproca … pensa che lo spettacolo è stato per un lungo periodo con quattro cantanti … era molto bello … anche perché ognuno aveva il suo stile è stata una grande esperienza … però poi dopo dovevi sempre venire a compromessi con la scaletta, col tagliare dei pezzi, con i tempi delle prove e via dicendo … in realtà ci sono tutta una lunga serie di motivi, perché suonare in una band è un po’ come avere un rapporto con una donna, con tutte le sue problematicità e le sue contraddizioni, però nella sostanza posso dire che forse oggi andiamo tutti a suonare più tranquilli. Per altro Jaka ha appena realizzato anche lui un album davvero molto bello e sta uscendo con la potentissima la Fire Band … a Firenze lo scorso maggio abbiamo presentato i rispettivi cd nella stessa serata in un concerto memorabile …aggiungerei a proposito che forse mai come oggi il reggae toscano può mostrare il meglio di se sia dal vivo che su disco …questo grazie a noi “vecchi” (oltre a me, a Toni, a Jaka ricorderei anche i Bomba Bomba. i Michelangelo Buonarroti e i Dubital) e alle nuove leve come i Working Vibes, Jimi Vistoli o la First Light Orchestra.
E del rapporto reggae e dialetto fiorentino?
Boh, io mi sono autoproclamato da sempre il generale dello stile fiorentino, ma nel caso del fiorentino non è chiaro dove finisca il dialetto e dove cominci l’italiano. In gran parte è una questione d’accento e di alcuni vocaboli. Insomma non è una cosa così marcata come per altre regioni. Del resto io suono con Toni che viene da Venezia è ha dei pezzi in veneziano e, appunto, suonavo con Jaka che canta spesso e volentieri in siciliano. Una scuola fiorentina forse non c’è … con due eccezioni (a parte il Generale ovviamente): Il Cerchioni, un mc locale che ha partecipato anche al mio precedente album ma che ultimamente si è ritirato in campagna e pare in tutte altre faccende affaccendato e i Bomba Bomba che, pur essendo pistoiesi, sono forse i più toscani di tutti nell’uso del dialetto. Per rendersene conto ascoltate il brano “Coaola” sul loro nuovo disco (che fra l’altro è un cd doppio) che si chiama “Anima e Corpo”.
Un messaggio libero agli ascoltatori?
Diffondete il più possibile la musica dei gruppi reggae italiani, magari scaricatevi i dischi e copiateli ai vostri amici ma fate conoscere la nostra musica. Noi non disponiamo (un po’ per scelta, un po’ per necessità) di grandi mezzi per far conoscere la nostra musica. Non ci vedrete su MTV o altrove e da tempo abbiamo scelto di essere i manager di noi stessi, sia per evitare compromessi con certi meccanismi del business che per garantirci di fare quello che vogliamo come lo vogliamo e senza avere tempi dettati da qualcuno. Però crediamo nella qualità di quello che facciamo e siamo consapevoli del fatto che quello che possono offrirvi il Generale, Toni e la One Drop o le altre band toscane sono produzioni e concerti di in certo livello: Aiutateci voi a diffondere la nostra musica, magari anche semplicemente essendo curiosi di sentire cosa facciamo. Se navigate su Internet dovreste anche trovare qualche nostro video su YouTube e potete inoltre venire a visitare il nostro sito (nel quale sono fra l’altro disponibili tutti i testi e vari download) che è www.ilgenerale.it o lasciarci un commento su www.myspace.com/ilgenerale1db . Per contatti diretti, concerti o per richiedere “Café Revolucion” o gli altri album potete poi contattarmi via e mail a ilgenerale2000@hotmail.com .