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Incontriamo al nostro microfono Eugenio Bennato a Lecce per promuovere il suo ultimo lavoro discografico “Sponda a Sud” (Taranta Power Radiofandango/ Lucky Planets). Dal 1998 l’Artista ha rivolto la propria attenzione alla promozione della Tarantella, quella vera, afferma, dalla tradizione del Salento.

Da qualche mese è uscito il tuo ultimo lavoro “Sponda sud”, cosa significa e qual’è il suo messaggio?

Innanzitutto è un messaggio a me stesso, è un diario di viaggio, di questi tanti viaggi che ho fatto con la musica che mi portano a contatto con delle realtà in cui trovo delle grandi affinità e spesso mi succede, tanti amici sparsi per il mondo che fanno musica, che fanno poesia, che sono intenzionati a cambiare le cose del mondo anche attraverso appunto l’arte e la musica.

A tuo avviso in questi ultimi anni, grazie al tuo contributo e anche al contributo di altri protagonisti della musica italiana, questa ha assunto nuovi confini?

Io ho pensato che siamo impegnati in uno scontro frontale con una cultura che tende a sopraffare la cultura delle multinazionali che tende ad imporre tutto, a cominciare dalla musica, da tante forme di espressione e quindi è un appiattimento globalizzante che diventa pericolosissimo per l’umanità. I paesi come il nostro sud possono reagire con la loro grande tradizione, ho pensato che sia per un fatto di affinità che proprio di compattezza di progetto il Mediterraneo è una forte alleanza perché è un naturale sbocco, un punto di incontro per noi e quindi alleanza mediterranea significa contrapporre una musica che è una sintesi nuova, forte rispetto alle multinazionali anglosassoni. Io dico che qui in Italia tante cose che fanno parte dello stile musicale in cui credo e dal quale non mi posso discostare trovo che sia interpretato meravigliosamente da musicisti e voci del Mediterraneo, penso all’Egitto, alla Tunisia, all’Algeria, al Marocco, alla Spagna quindi dire “fare fronte comune” significa inventarsi una creatività nuova che rappresenta tra l’altro un fatto storico vero cioè che noi in Italia siamo oggi a contatto con questi ragazzi del Magreb che vengono da noi che ci possono dare tanta poesia e tanta cultura.

Ritorniamo su “Sponda sud”, possiamo considerarlo quasi come il prosequio naturale del precedente “Taranta power”?

Si, direi che sono tappe abbastanza coerenti da “Taranta power” a “Che il mediterraneo sia” e “Sponda sud”. Quest’ultimo è come un allargamento ancora maggiore, come una zoomata su un sud ancora più lontano, più misterioso, parlo dell’Africa nera, parlo dell’eleganza di questa gente, parlo della scoperta che l’uomo occidentale fa di una civiltà diversa che ha sempre considerato con disprezzo se pensi al colonialismo dell’800 prima metà del ‘900, al mito del buon selvaggio sempre visto come primitivo. In realtà in quella cultura c’è una straordinaria energia che è diversa ma che però è fatta di grande arte e di grande eleganza. I miei viaggi nell’Africa nera, concerti per esempio in Mozambico e in Magreb mi hanno messo in contatto con una realtà di vita, di storia e di cultura straordinaria. “Sponda sud” è in qualche modo questa mia ansia di riconoscere in sud lontani qualcosa che ha a che fare con le nostre origini. Pensiamo al nostro sud, alla cultura magica per esempio del Salento, del Gargano, di Napoli, evidentemente è più protesa verso questi sud così lontani che non verso la nostra cultura occidentale, razionale e a volte fredda, quindi direi che l’Italia è un punto di incontro, è un trampolino verso questi sud. “Sponda sud”, bè non è che posso dire più di tanto, è una serie di canzoni però fatte con grande convinzione.

La Taranta ha origini antichissime, a te va attribuito il merito di essere stato uno tra i suoi maggiori promotori ancor prima che diventasse un fenomeno di largo consumo. Come mai ti avvicini così alla cultura del basso Salento?

Innanzitutto la Taranta è una vibrazione che appartiene a tutte le regioni del sud, evidentemente nel Salento c’è una punta di diamante nella storia per le sue origini e anche per il suo “recente presente” e quindi ha mantenuto qui la sua funzione di danza terapeutica e curativa. Da ragazzo ho sempre trovato che era straordinario riconoscere come fosse trascurata questa grande energia che invece avrebbe avuto la capacità di attrarre una nuova creatività, cosa che sta avvenendo perché io che per concerti ho girato il mondo mi accorgevo che l’Italia non aveva una sua identità perché, a parte qualche fenomeno cantautorale o canoro, la sua energia musicale era dispersa e mal interpretata. Si pensi alla differenza tra la Spagna e l’Italia, la Spagna con il suo flamenco ormai da decenni afferma la sua identità che è fatta di musica, che è fatta di poesia, di arte, di cinema etc., l’Italia era assente da questo riconoscimento internazionale in cui ogni paese, soprattutto quelli del sud, hanno una propria identità. L’identità era affidata ad una tarantella olografica degli emigranti tradizionale finta, riportare l’energia della Taranta per me ha significato innanzitutto innamorarmi di questo rito così arcaico e misterioso e poi soprattutto riconoscerne il valore musicale. Per me la Taranta è una terzina magica che mi porta alla circolarità della musica quindi io che faccio il musicista, che vivo di composizioni, di invenzioni di melodie non ho mai preso le Tarante tradizionali ma le ho sempre portate con me nel bagaglio delle cose che amo e ogni volta che scrivo una melodia, anche una lenta, sono presenti questi orizzonti del Sud.

La tua è una ricca discografia, c’è un lavoro al quale sei particolarmente legato e per quale motivo?

Sicuramente “Brigante se more”, questo lavoro che feci come colonna sonora di uno sceneggiato sul brigantaggio. Oggi vedo che questo è diventato un inno, per cui alcuni mi accusano di essermene impossessato ignorando che l’ho scritto io, c’è addirittura un brano che ha viaggiato talmente tanto di bocca in bocca che viene visto come un brano popolare e quello era un lavoro che ho fatto con grande amore, fatto di inni e melodie. Un altro lavoro a cui sono molto legato è quest’ultimo “Sponda sud”, penso che sia un disco molto bello e riascoltandolo sono ancora sorpreso di vedere come ogni brano ha una sua identità, una sua melodia. Proprio nell’ambito del mondo popolare, e forse nel Salento dovrebbero saperlo, è difficilissimo fare melodie che abbiano nello stesso tempo un carattere non kitsch ma elegante e che siano nuove, quindi sono arrivato a “Sponda sud” perché è fatto di dieci melodie nuove alcune delle quali faranno parte del repertorio di quello che io chiamo “il popolo della Taranta” che per fortuna oggi esiste e dieci anni fà non esisteva. Quindi al di là di tutte le polemiche la cosa importante è che oggi dire “Taranta” non significa più dire un oggetto misterioso, parlare del sud non significa più parlare di un popolo represso e lontano dalla cultura contemporanea, ma significa parlare di una realtà emergente e io mi auguro che emerga sempre di più.

Ascolta intervista audio a Eugenio Bennato.

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