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Musica partenopea e non solo, jazz, folk e soprattutto creatività. Elementi primari nella personalità di Daniele Sepe. Lo incontriamo al caffè riflettiamo su alcuni temi. L’Atlantide ideale esiste?

Daniele risponde che non crede nell’esistenza di un isola felice. Esistono troppi attriti nella società contemporanea. Il cammino è ancora molto lontano. Parlando di musica ci dice che non vuole uno stile ma una serie di stili. Paragonando il mestiere del musicista a quello del regista portando come esempio Kubrik. Chiediamo a Daniele come nasce un lavoro dove trova l’ispirazione. La risposta è «Non avere regole. Ogni disco è una storia a parte. Suono esclusivamente in diretta senza partiture…» Inoltre ci dice che sta per essere pubblicato il nuovo lavoro che fa riferimento alla Napoli degli anni ’70. Sepe considera il proprio lavoro un divertimento. Racconta che il suo primo album ha venduto solo 160 copie e ricorda il successo arrivato con «Vite perdite» (1993). Un lavoro al quale riconosce un rispetto morale. Un riferimento in chiusura al sito internet www.danielesepe.com. Interamente realizzato dalla stesso Autore. Scelta nata dall’idea che il sito è il tramite con i lettori.

Nei tuoi lavori si parla di un Atlantide ideale, di questo posto ideale. A tuo avviso esiste nella realtà un Atlantide, un posto così idilliaco dove tutto è perfetto, secondo te che sei un così attento analizzatore della realtà ma soprattutto anche del costume?

Considerando che io sono un ateo convinto direi che non esiste, questo posto sarebbe il Paradiso. Penso che ci sia ancora parecchio cammino da parte dell’umanità da fare per arrivare ad un posto dove in qualche maniera tutte le contraddizioni e tutti gli attriti possibili vengano risolti. C’è una buona parte di umanità molto attaccata al denaro, ai propri privilegi e ovviamente questo crea qualche problema. Nel momento in cui elimineremo fisicamente quest’umanità allora può darsi che tutto andrà meglio.

Riesci abilmente a miscelare la musica partenopea con le atmosfere provenienti dalla cultura della musica jazz anche se poi in realtà nella tua ricca discografia i dischi trovano sempre collocazioni diverse negli scaffali dei negozi. Come si coniuga l’abbinare la musica partenopea appunto con le atmosfere e le sonorità riferite al jazz?

Non sono il primo a fare questa scoperta perché il buon James prima con Napoli Centrale già trent’anni fà faceva queste cose quindi insomma vengo da una buona scuola, però a me non è che me ne freghi tantissimo del genere, ieri abbiamo registrato un pezzo con un gruppetto che fa punk per il disco nuovo quindi non ho problemi di stile, non mi interessa che ci sia uno stile, mi interessa anzi che ci sia un “non stile”. La musica è fatta di tante cose molto diverse fra di loro, è così come un regista fra loro di genere, pensa a Kubrick dall’horror alla fantascienza ad un film storico tutti fatti bene, io spero di fare cose molto diverse fra di loro e tutte fatte bene.

Nella tua discografia come nasce un lavoro, quali sono i momenti e le fonti di ispirazione alla realizzazione e alla registrazione di un lavoro. Sei uno dei pochi musicisti italiani che riesce a colmare tutti i 60 minuti di registrazione. Dove trova appunto l’ispirazione alla realizzazione di un disco. Quali i temi, i momenti, le modalità oppure se vai così d’istinto?

Non ci sono assolutamente delle regole, non sono il tipo che sta davanti al pianoforte a soffrire con la sigaretta e il whiscketto aspettando che gli arrivi l’ispirazione. Ogni disco è stata una storia a parte, ti posso dire che sono due tre dischi almeno che io ho preso l’abitudine di non preparare assolutamente nulla prima di entrare in sala. In primo luogo faccio i dischi sempre che si suonano in diretta quindi non uso registrare in sp, penso che i musicisti lavorano meglio quando si guardano in faccia, ma ultimamente ho questa pessima abitudine di non avere nemmeno i pezzi, si e no i testi quando entro in sala perché mi sembra che sia una maniera di lavorare più giusta. Noi stiamo registrando proprio ora il nostro prossimo CD che esce a novembre ed è un lavoro a cui ho pensato almeno da un anno, è un lavoro sugli anni ’70 a Napoli quindi sulla politica, sul movimento di allora, sulla violenza etc., ho raccolto materiale, ho letto cose, ho discusso con la gente, con i protagonisti di quell’epoca e poi tutto però si è materializzato e concretizzato nel giorno in cui siamo andati in sala e mi sono messo dietro al pianoforte insieme agli altri come si faceva una volta, ho deciso volta per volta come fare una canzone. Penso che arrivato ad una certa età, ed io purtroppo ce l’ho, è molto più importante lasciare l’immediatezza del pensiero che il dover stare sempre a girarci intorno, si può fare solo danni e pensare e ripensare una cosa, non hai più vent’anni e puoi fare affidamento solo sul bagaglio di quello che hai imparato prima, penso che devi invece cercare di avere l’atteggiamento di un ragazzo di 18 anni rispetto alle cose.

Nella tua discografia, se dovessi per un attimo fotografarla in questi minuti, esiste un album a cui sei legato particolarmente magari per un aneddoto o per una situazione in particolare?

Mah questi dischi “son tutti figli a me” quindi è un pò difficile scegliere il migliore. Poi ogni volta che facciamo un disco è sempre un grande divertimento cioè non è un lavoro. Ti posso dire ovviamente che quello che mi è costato più fatica sicuramente è stato il primo, questo lo dico anche per qualche ragazzo che ci ascolta, quando ho fatto il primo disco ho venduto 160 copie del primo disco, quindi non bisogna mai disperarsi, però quello che è stato di sicuro il punto di svolta nella mia vita professionale è stato “Vite perdite” che è stato l’album che poi mi ha fatto conoscere in Italia e all’estero e ho un debito di gratitudine rispetto a quel disco, ma non perché mi piaccia più di altri ma semplicemente perché è quello che mi ha dato più soddisfazione.

Il tuo sito internet è estremamente colorato e variegato. Com’è nata l’idea?

Il sito l’ho fatto io, questo perché significa gestire una cosa che poi è semplicemente un tuo tramite tra te e la gente. Internet ha aperto questa possibilità che è un’arma a doppio taglio, devi avere un canale diretto con la gente che ti segue, per la quale tu lavori quindi è una maniera di conoscersi meglio. Ovviamente deve rispecchiare quello che faccio e soprattutto io avevo il bisogno di imparare a manovrare il mondo di internet perché poi dovevo avere la possibilità di rispondere, di aggiornare. L’errore che fanno moltissimi musicisti è quello che il sito se lo fanno fare, per cui alla fine è una cosa che per forza di cose non funziona. Fare un sito è una cosa così semplice che mi meraviglia che poi altri non facciano lo stesso. Ovviamente internet è una maniera di arrivare a capire cosa pensa la gente di quello che fai, non è che tutti pensano benissimo di quello che faccio tanto è vero che se fai un giro sul mio blog praticamente è un campo di battaglia, ma questo penso che sia un fatto estremamente positivo rispetto ad una ventina di anni fà quando non avevi nessun altro riscontro che non la critica scritta sul giornale specializzato di quello che facevi.

Ricordiamo l’indirizzo del tuo sito web che ci fa capire appunto questa riflessione, che tu hai un rapporto abbastanza attivo con i tuoi ascoltatori e lettori.

www.danielesepe.com, “com” sta per comunista ovviamente.

Ascolta intervista audio a Daniele Sepe.

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