Anna Mazzamauro in tour con il suo nuovo spettacolo, di cui è autrice e direttrice, a giocare con le metafore della bellezza ed evidenziare il ruolo estetico dell’essere brutti. L’attrice romana presenta questo spettacolo da titolo “Quando eravamo da sola” con l’abituale ironia che la contraddistingue.
Anna Mazzamauro al microfono di Extranet: benvenuta!
Bentrovati! Cosa vuoi che ti risponda? In genere quando uno dà il benvenuto, l’altro risponde “bentrovati!” anche se non ci conosciamo; però io credo che la parola serva per conoscersi. Non so se voi mi conosciate, suppongo di sì. Mi dispiace per voi, perché il ricordo può essere deleterio visto che non corrispondo ai canoni della bellezza tradizionale, però al di là degli scherzi non è questo importante. E’, come dicevo, la parola, quindi: benvenuta e bentrovati…bella coppia!
In Italia in questo periodo, nei teatri italiani, per promuovere questo nuovo spettacolo che ha come tema un particolare aspetto della persona l’estetica?
Gesù mio, diventa pericoloso dire questo, perché se mi preoccupo del fatto estetico dovrei non tirare il sipario, non andare nei teatri. Al di là degli scherzi, il senso di questo spettacolo: intanto non è una commedia, chiamarlo recital mi dà fastidio perché la parola non è italiana e in genere si intende per recital un insieme di monologhi, di canzoni anche (se uno non sa cantare), che sono incollati tra di loro o con un tema dominante o con varietà e variazioni di personaggi. Io sinceramente non amo chiamarlo così.
Intanto osserviamo il titolo: “Quando eravamo da sola”, c’è uno sbaglio? no, è un gioco per coinvolgere alcune delle figure che mi appartengono teatralmente, intendo la signorina Silvani, che l’ altr’anno ho portato qua, l’Anna Magnani, che ho scritto tanti anni fa, e poi ci sono io, che non sono da meno, ah ah! A me piace giocare, scusa, non mi piace assumere atteggiamenti vocali. Allora dicevo, io non amo chi affronta il recital, soprattutto le donne che, tentando di variare per compiacere il pubblico, usano vari caratteri, usano vari dialetti e varie forme.
Sì, alla fine la gente può pensare: “Uhm, com’era brava quell’attrice, perché hai visto la figura della siciliana come la faceva bene?”, “e perché – risponde l’altra – la piemontese che fa? ma la veneta secondo me…”. Non mi interessa, mi posso compiacere con le mie colleghe quando lo fanno, in maniera egregia sicuramente, ma a me piace approfondire l’interno di una donna. Di una donna frazionata in mille donne ma all’interno della donna stessa, quindi non superficialmente osservata, regionalmente o caratterialmente. Io detesto i caratteri all’italiana; per carattere all’italiana intendo quello dove ahimè per dimostrare, per raccontare una signora di ottant’anni bisogna parlare per forza come se non avesse i denti, o per raccontare un altro che abbia un’età simile bisogna farlo zoppicare in scena, renderlo claudicante. Insomma detesto il sottolineare le storture delle persone, che sembra che diano l’indirizzo al personaggio; ecco, non sono d’accordo. Perché io conosco tante signore di ottant’anni che sono giovinette e addirittura potrebbero amare come Giulietta e trovare il loro Romeo, conosco delle signore con tutti i denti che parlano tranquillamente molto meglio di una ragazzina che abbia problemi di carie.
Ora, questo non lo dico a difesa dei miei novant’anni, naturalmente, e neanche per precauzione, lo dico perché davvero mi piace raccontarmi al pubblico partendo da un gioco che è quello, diciamo solito, della mia atipicità; a me piace molto distruggermi, auto-distruggermi, è un gioco che scherzando, come dico nello spettacolo, mi purifica e mi rende bellissima, bellissima dentro naturalmente. Però a me dà un fastidio quando mi dicono “non ti preoccupare se sei così, perché tu in fondo sei bella dentro”, può darsi che sia vero, ma sapeste che fatica stare sempre con la bocca aperta per far vedere quanto son bella dentro!
Voltandoci un attimo al passato e quindi agli anni Sessanta, facendo anche un riferimento al Carlino: ti senti più attrice o imprenditrice?
Perché era un momento in cui davi un input importante aprendo questo laboratorio (oggi si direbbe così, con un termine forse più contemporaneo).
Proprio, però io non sono un’imprenditrice, assolutamente. Per me l’imprenditore è quello che sa come manovrare i soldi, li sa far fruttare, moltiplicare, alla Paperon de’ Paperoni. Io no. Diciamo che ho seguito un semplice principio: per fare “carriera”, in teatro o comunque nel mondo dello spettacolo, ovviamente devi metterti in evidenza.
E come lo si fa? Con la grande occasione, con il grande letto – sì, ho detto proprio così- , la grande raccomandazione: io non avevo né il letto (cioè io avrei voluto ma nessuno mi chiedeva niente), né ho mai avuto la grande raccomandazione. E quindi ho pensato: “come posso fare?…bhè, io apro un teatrino”. Non avevo una lira, quindi sono veramente diventata la mascotte di tutti gli strozzini di Roma (come li chiamate voi qua? Cravattari…vabbhè, strozzini è un gergo molto generale purtroppo): mi sono fatta prestare un sacco di soldi e ho aperto questo teatro. Pensavo però: “non faccio la stupidaggine di mettermi in evidenza attraverso un monologo o un soliloquio, ma chiamo vicino a me – pagandoli sempre con i soldi degli strozzini – degli attori importanti”. E quindi uno che mi piaceva moltissimo a quell’epoca, era Elio Pandolfi…
E il tuo ricordo di questo grande maestro?
Sì, allora non era ancora per me il maestro, era un collega. Lo dico a sua discolpa perché, in genere, quando si dà del grande maestro a una persona vuol dire che ormai gli riconosciamo l’età, è un po’ come “lei stia buono lì e osservi”: non è chiaramente il caso di Elio, però allora era ancora un praticante di teatro ed era straordinario. Intanto per un motivo molto semplice – non che sia fondamentale, un attore deve avere talento soprattutto, ma diamo per scontato il talento che ha – Elio ha un carattere straordinario. E’ una persona così umanamente disponibile, così comprensiva e accessibile, ma sotto tutti i punti di vista, che meraviglia persino che abbia fatto questa carriera, perché in genere nel mondo del teatro si è arroccati sulle proprie posizioni, si gira la mattina con il coltello in bocca per paura di essere colpiti alle spalle.
Quindi ecco, ho chiamato Elio Pandolfi per fare una ditta. Non era la prima volta: l’avevo già fatto con Oreste Lionello nel cabaret; però, con tutto il rispetto (io non ho mai rinnegato niente, né Fantozzi, né il cabaret; sono tutti paralleli che mi aiutano e mi hanno aiutato), non è che il sogno della mia vita fosse diventare la “regina del cabaret”, come mi chiamavano a quell’epoca. Era una forma di teatro intelligente, perché Oreste Lionello, oltre ad avere talento, è un uomo intelligente, per cui è stata una grande scuola. Quindi ho pensato di far ditta di nuovo, come stavo dicendo, con un attore così importante come Elio Pandolfi. Poi questo teatrino lo sai, me l’ hanno bruciato, ma forse è meglio. Io sono un’ottimista, allora dico meglio, anche se mi è costato tanto (ho finito qualche anno fa di pagare i debiti…no, non qualche anno fa, ma mi piace ringiovanirmi), diciamo che è stato meglio perché se io avessi continuato a seguire quel teatrino, avrei fatto non so, come Lando Fiorini: per carità, egregio signore, ma che ha la sua casa, dove la moglie cucina, è una cosa famigliare. A me piace il grande teatro e quindi a poco a poco, nell’evoluzione, oltre a lui c’è stato Bruno Lauzi e le storie che tu sai – ma io le ripeto per chi non le sapesse -, ci sono stati i Vianella, ahimè purtroppo Rick&Gian, ma pazienza, non voglio parlare male di nessuno…però non sono serviti a niente.
Grande teatro, ti interrompo un’altra volta, un importante tributo anche alla grande Anna Magnani?
Grande Anna dalla grande Anna: scusa se è poco! Tanto lei non mi può rispondere, sono avvantaggiata io.
E poi il momento più importante forse per farsi conoscere dal grande pubblico: la signorina Silvani?
Sì, ma la signorina Silvani è diventato un gioco teatrale che io ho raccontato qui in questo teatro, però l’ ho fatto diventare per forza un discorso teatrale. Soprattutto non con la vendetta di chi vuole manovrare un personaggio in maniera diversa, ma come una sfida. Siccome per me è stata una cornice, bellissima per carità – io ho avuto in qualche anno quello che, per arrivarci, avrei dovuto raccogliere in vent’anni, perché il cinema è così, purtroppo e fortunatamente – ma io l’ho fatta sempre, non lo dico per snobismo, con un senso di distacco quasi epico, scusa la frase. Mi ricordo, affettuosamente sì, ma come un sogno lontano questa Silvani che giravo, intorno alla quale scherzavo, insieme a Villaggio e insieme a tutti quelli che hanno fatto questo percorso. Me lo sono ritrovato tra i piedi questo personaggio quando certi imbecilli che detengono le armi o lo scettro della teatralità italiana pensavano: “Come? Vuole fare Cyrano de Bergerac? Ma come, la Silvani?”. Ma perché? Non l’ ho mai capito. Sì, capisco che sono degli sciocchi, ma non ho mai capito come questi sciocchi possano vivere in quest’ambiente dove non bisogna essere sciocchi, perché l’artista non può permetterselo. Però peggio per loro. La signorina Silvani mi è servita; le dicevo, con accenti di sfida: “tu mi hai incorniciata per anni e mi hai portato a conoscere queste brutture della mente? Io ti sbatto in palcoscenico e vediamo che succede”. Ed è successo il bel successo che ho avuto l’ altr’anno e per cui quest’anno, dal 26 dicembre fino ad aprile, la riporterò sulle scene, perché è andato talmente bene che è un peccato.
In conclusione del nostro incontro, come concluderebbe un saluto la signorina Silvani questo appuntamento. E poi naturalmente ti auguriamo un in bocca al lupo per tutti i tuoi progetti futuri?
Crepi questo lupo se no ci divora. Alla signorina Silvani direi: “Tu sei una merdaccia schifosa, io ho tentato di assecondarti, ma, siccome io non lo sono, ti ho scavalcato, ti ho messa in scena, mi sei servita e adesso torna ad essere la merdaccia schifosa e io continuo a togliermi questa cornice che purtroppo e fortunatamente in Italia si ha”. Perché in Italia quando uno esce con un personaggio…io avrei dovuto essere la racchia degli anni Ottanta e ho detto sempre no. Perché Fantozzi è un cartone animato e, come vedi, ha lunga vita; se io avessi fatto tutte le altre cose…(è la stessa cosa per cui detesto i caratteri). Mi proponevano sempre di fare la moglie racchia in contrapposizione alle bellissime cosce lunghe: ma che me ne frega a me? Ma falla fa’ da tu’ moglie, io non sono la racchia, io sono servita ad un personaggio, ma per il quale bisognava saper recitare, punto.
Grazie ad Anna Mazzamauro per la disponibilità.
A voi, ma che disponibilità. Grazie per l’ascolto!
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