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Edoardo Winspeare ritorna al microfono di EXTRANET per raccontare dei “Galantuomini” la nuova pellicola scritta dal regista con Alessandro Valenti e Andrea Piva. Storie d’amore fra razionalità e sentimento.

Eccoci qui, a raccontare di questa nuova produzione, che tu già accennasti nel nostro precedente incontro, credo primavera 2007, “I galantuomini”: ma quali sono questi galantuomini?

I galantuomini sono alcune persone, che esistono ancora, che cercano di comportarsi bene. E’ un termine molto usato in Italia, specialmente da noi a Lecce (si usa molto dire “è un avvocato galantuomo, un sindaco galantuomo, ecc.”): un po’ per storia perché ancora la forma è importante, un po’ perché non c’è tanta gente che si comporta da galantuomo, quindi si enfatizza quando uno si comporta bene – quando dovrebbe essere una cosa normale.

E’ l’appellativo ad un agire moralmente in modo corretto, questo “i galantuomini”?

Bhè, sì. Galantuomo è colui che si comporta bene semplicemente, che si comporta secondo coscienza; poi bisogna chiedersi che cos’è comportarsi bene. L’Italia è un paese molto interessante perché molto lungo, quindi le regole morali cambiano. Poco, ma cambiano. Da noi, nel Sud, è più importante comportarsi bene rispetto alla famiglia; nel Nord lo stesso, però inizia ad esserci una mentalità più nordeuropea, quindi lo Stato, il senso civico. Da noi il senso familiare è importante.

“I galantuomini”, questa nuova produzione, questo nuovo film scritto da Edoardo Winspeare, con la collaborazione anche di Andrea Piva. Com’è nato questo link, questa collaborazione?

Principalmente la sceneggiatura de “I galantuomini” è stata scritta da Alessandro Valenti e da me, che abbiamo scritto soggetto e sceneggiatura. Poi in un secondo momento è venuto Andrea, perché aveva esperienza di drammaturgia ed è bravo. Ci siamo turati il naso e abbiamo preso un barese di mezzo…no, scherzo! Naturalmente come tutti i film che faccio io è molto caratterizzato dal Salento, quindi la lingua, ecc. Poi si parla di “Sacra corona unita”, di avvocati salentini, leccesi. E’ stata una decisione difficile da prendere, ma poi abbiamo pensato “va bene, coinvolgiamo pure questo barese qua”…no, sto scherzando! Io adoro i Baresi, no, non esageriamo, mi stanno simpatici i Baresi e Andrea è un amico. E poi, adesso voglio essere proprio serio, la sceneggiatura del film “La capa gira” è veramente straordinaria, mi è piaciuta moltissimo.

La sintesi, il racconto della storia d’amore tra un figlio di magistrato, di un’ottima famiglia leccese – a ritornare sugli appellativi come dicevamo pocanzi e una ragazza  figlia di contadini. Quindi si crea questa relazione tra due mondi così lontani dal punto di vista delle relazioni sociali, dello stile di vita?

E’ una storia d’amore e di amicizia fra due bambini, che diventano ragazzi e infine uomo/donna, provenienti da due famiglie di diversa estrazione: lui è di tradizione borghese, di una vecchia famiglia di tradizione forense, lei contadina. Mi interessava questo “culture clashes”, scontro di civiltà, che poi da noi non c’è mai veramente, uno è sempre “figlio di, nipote di” (il mio sceneggiatore viene chiamato sempre avvocato perché è figlio di un avvocato, e lui “non sono avvocato, sono professore dell’università” – “Sì, va bene avvocato”) e anche se ci sono queste differenze sociali in una città di provincia come Lecce si mischiano tutte. Siamo andati a scuola assieme, in piazza ci si incontra tutti: non ci sono questi ghetti, come ci possono essere a Roma, dove chi vive al centro storico o ai Parioli difficilmente avrà a che fare con chi viene da Tor della Monaca. Invece da noi tutti conosciamo spacciatori, nobili di provincia, avvocati, ricchi, contadini… E mi interessava raccontare con questo film anche un Salento che stava cambiando, un Salento che aveva perso la sua verginità e mi chiedevo sempre perché da noi?

Quando io penso a un malavitoso non lo penso che parla con l’accento leccese, mi sembra strano che uno di Cavallino prenda la pistola e spari. Invece è successo. E questo shock l’ho voluto anche mettere in scena nel film, perché mi sembrava strana questa mafia, che poi non poggia su una tradizione mafiosa, infatti per me la “Sacra corona unita” ha a che fare più con la “Banda della magliana”. Ad un certo punto questi ragazzi, disgraziati, hanno deciso di fare i soldi facili con delle regole mafiose che hanno ereditato dai camorristi, dai ‘ndranghetisti calabresi, infatti poi è stata facilmente sconfitta.

In una dichiarazione ufficiale affermi: “abbiamo volutamente saltato la vita sociale degli anni Ottanta nel Salento”. Perché questo salto generazionale?

Semplicemente perché negli anni Settanta sono bambini, negli anni Novanta sono adulti e abbiamo saltato l’adolescenza e la giovinezza, che sono percorsi importanti, ma così c’è forse più contrasto. Negli anni Settanta c’è ancora un Salento “integro” (anche se una terra non è mai integra): non c’era droga per esempio, la cultura – stava finendo- ma era ancora agricola, con tutti i problemi, con tutte le ingiustizie, con tutte le difficoltà che c’erano in quell’epoca. Negli anni Novanta invece è un territorio più simile agli altri; nel Sud purtroppo a volte la cultura contadina, l’agricoltura, l’artigianato non sono stati sostituiti da un’industria intelligente c’è assistenzialismo, terziario. Quindi siamo passati dall’infanzia all’età adulta dei personaggi e di tutto il territorio.

E per quanto riguarda la scelta invece dei due personaggi principali: il personaggio maschile, interpretato da Fabrizio Gifuni, e il personaggio femminile di Donatella Finocchiaro. Come sono state fatte le scelte.

Lei è di Catania intanto e, a mio avviso, a una faccia molto emozionante; io la paragono ad Anna Magnani: è molto bella e ha una faccia viva, che a volte è bella, a volte meno, a volte è gonfia, altre è drammatica, a volte è spietata; può avere una risata sguaiata, può essere anche elegante, può essere distinta. Poi è di Catania quindi sa fare bene il leccese, perché il siciliano orientale assomiglia al salentino. Non ha quella bellezza un po’ da televisione, da fiction, che hanno tutte le attrici ultimamente, è “fimmena”, ha molto sex-appeal ed è molto brava poi, veramente molto brava. E’ un animale da set, proprio una che sente la scena, sente la luce, a volte proprio improvvisa. Quello che si chiama il talento. Lei ha talento, secondo me ma non solo.
Gifuni è più razionale, è un grandissimo attore, un uomo molto elegante: secondo me interpreta bene la figura di un pm di origine alto-borghese leccese; e ha anche quella drammaticità tutta intellettuale che gli fa interpretare il dilemma nello scegliere fra la legge morale e la legge scritta, si percepisce in lui il dramma del giudice, del magistrato, dell’uomo di legge che a confronto con una donna, che ama, non sa come comportarsi – poi sceglierà. E’ un grandissimo attore, anche lui ha interpretato molto bene la parte del leccese.

In chiusura del nostro incontro una domanda che forse ti potrà sembrare banale, ma in realtà non lo è: cosa ti aspetti da “I galantuomini”?

Il successo! E certo! No, io spero che sia un film popolare, poi molto spesso quando mi viene chiesto di dare delle definizioni ho paura sempre di annoiare con delle interpretazioni intellettualistiche. “Galantuomini” è un film generoso, pieno di emozioni, è un film che ha l’ambizione di raccontare un affresco di una parte del Sud, ma è una storia d’amore, molto semplicemente. Una storia d’amore molto intensa fra un uomo di legge e una criminale. Il senso del film è la legge scritta/ la legge morale, che cosa bisogna scegliere, il cuore o la legge?

La razionalità o il sentimento. Grazie ad Edoardo Winspeare per aver raccontato questa nuova avventura.

Grazie a voi, ciao!

Ascolta intervista audio ad Edoardo Winspeare.

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