Dal nostro ultimo incontro del 2004, quando ancora era una “promessa” della musica, di strada ne ha percorsa e tutta in ascesa. Il suo ultimo lavoro la classifica fra le cantautrici italiane più apprezzate dal pubblico e dalla critica musicale.
L’autorevole mensile britannico Mojo, scriveva di Dove sei tu (2003) un precedente lavoro: «dimenticate tutti gli stereotipi del pop italiano e le sue dozzinali imitazioni operistiche… È una cantautrice, sottile e sensibile».
Al microfono di Patrizio Longo incontriamo Cristina Donà, bentrovata?
Ciao Patrizio, bentrovato.
Quale la carica che ti ha dato questa recensione?
Posso dirti che mi ha dato una bella carica. Mi ha fatto pensare che non era così impossibile per noi italiani ottenere dei buoni risultati all’estero anche presso paesi che preferibilmente snobbano i nostri prodotti di musica leggera, pop o rock che sia. Fondamentale fu l’aiuto preziosissimo per l’adattamento dei testi e la pronuncia di Davey Ray Moor, il produttore.
Uno stile differente quello che sei riuscita a costruire nel tempo. Basato sulla ricerca di nuove armonie?
Per me ogni disco è un’avventura nuova. È molto legato alla vita e ai pensieri del periodo in cui lo scrivo, ma anche alla voglia di proporre una parte di me che nei precedenti lavori non si era messa in luce. Mi piace giocare e divertirmi, sperimentare personaggi lontani da me, come fossi un’attrice. Questo vale sia per le parole che per la musica.
Torno a casa a piedi (2011 – Emi) è il titolo del nuovo disco che s’intreccia con la maternità. Questo particolar istante della vita di una donna ti ha regalato qualcosa di in più, nella sensibilità, per lo scrivere i brani?
Non so dire esattamente cosa, ma come spiegavo prima, ogni disco riflette per forza il momento che sto vivendo. La maternità porta con se tanti mutamenti, anche nella percezione delle cose, ti sbatte in faccia molti problemi che prima non consideravi minimamente e allo stesso tempo ti regala emozioni disarmanti. Di questo parlo nel disco, di una nuova prospettiva di osservazione.
Saverio Lanza, chitarrista e pianista, ha condiviso la stesura del lavoro. Perché questa scelta, quali le difficoltà incontrate nella “convivenza” musicale?
Me lo ha suggerito il mio manager, Gianni Cicchi, quando gli ho detto che mi sarebbe piaciuto collaborare con un musicista-arrangiatore per la stesura delle musiche del nuovo disco. Abbiamo fatto delle prove per capire se ci trovavamo sulla stessa lunghezza d’onda. Non davo per scontato che fosse lui la persona giusta, anzi. Ho sempre avuto la fortuna di non avere imposizioni in questo senso. Invece mi ha stupito e da lì a poco ho capito che la sua ricchezza, la sua preparazione era esattamente ciò che cercavo. Nessuna difficoltà durante la lavorazione. Ci siamo confrontati sino all’ultima nota lavorando assiduamente, soprattutto via mail. Saverio è molto aperto e per niente permaloso. Quando qualcosa non mi piaceva trovavamo subito un’alternativa.
Torno a casa a piedi (2011 – Emi) è un lavoro che risulta musicalmente ricco di contenuti ma anche con una musicalità morbida e luminosa. Quasi come un racconto di vita?
Se arriva come un racconto di vita alla gente che lo ascolta, bene, era quello che desideravo.
Mi commenti questa affermazione: «Tornare a casa a piedi è una scelta, non un imprevisto, è per me sinonimo di liberazione ed anche simbolo di libertà. È un momento di riflessione, di indipendenza, di autonomia.»
Beh, è quello che c’è scritto, ossia tornare a casa a piedi è un modo per riappropriarci dei nostri tempi, quelli umani, legati alle nostre gambe. È una metafora per spiegare quanto sia importante a volte rallentare per cogliere meglio le sfumature di una realtà che ci sfugge.
Adesso raccontiamo di Miracoli un brano che rimanda al sentimento dell’amicizia?
Anche, è un brano che vuole sottolineare alcuni momenti eccezionali che passano spesso inosservati.
Ancora sul brano c’è un richiamo al film Una storia vera di David Lynch?
Sì, la prima strofa è ispirata a quel film, che racconta la storia di un pensionato settantatreenne, Alvin Straight, il quale coprì in 6 settimane la distanza di 240 miglia (386 chilometri circa) con un taglia erba, unico mezzo a sua disposizione, per andare a trovare il fratello malato, non è un miracolo questo?
C’è un aneddoto legato ad un brano?
La parola “giapponese” faceva tanto ridere mio figlio quando aveva 5 mesi. Ho deciso di inserirla nel brano in questione visto che l’argomento trattato era legato alle metropoli ed alla velocità. Sembra che funzioni. Durante questo viaggio hai suonato come supporter insieme a grandi artisti internazionale come Ben Harper e David Byrne, cosa ti ha affascinato di uno e dell’altro, hai “rubato” qualcosa? Non credo di essere riuscita a rubare nulla a nessuno dei due, purtroppo. Di Byrne mi piace la sua stralunata lucidità e ammiro il suo percorso musicale vario e coraggioso. Di Harper l’intensità e il trasporto emotivo. È stato un grande onore per me in entrambi i casi.
Grazie a Cristina Donà, in bocca al lupo e alla prossima.
Ciao, grazie a te.
Foto: Ufficio Stampa