La musica “indipendente” sbarca nel mercato pop, riuscendo a far suonare nelle principali radio italiane la canzone di Gianmarco Martelloni. Interessante cantautore proveniente dalla scena indie che per il proprio album d’esordio si avvale di numerose collaborazioni fra cui quella di Paolo Benvegnù.
Il primo album s’intiola “La superficie del mare”. Un lavoro ricco di sfumature nelle dieci tracce dal sapore neo romantico.
Al microfono di Patrizio LONGO incontriamo Gianmarco Martelloni per raccontare l’inizio di questa nuova avventura.
Qual’è “La superficie del mare” e cosa ha trovato Gianmarco Martelloni?
Ogni cosa è la superficie del mare: siamo condannati a vedere le cose e pensare di conoscerle, ma non è così. Ogni realtà non mostra di sé che qualche indizio, spesso fuorviante. Viviamo tutto da fuori, anche e soprattutto quando pensiamo di essere dentro al cento per cento. Riconoscere ciò è un inizio: ecco cosa ho trovato accettando che noi siamo condannati alla superficie. Qualcuno scende sott’acqua, anche più di centro trenta metri, ma fatalmente deve poi tornare dove gli compete.
Il titolo viene anche dalle ultime parole pronunciate, e non da me, nel disco: “S’era levata fresca la brezza, che faceva increspare, come rabbrividisse, la superficie del mare”.
Un album che ha la melodia italiana ma guarda al suono europeo?
Questo è il mio tentativo, da grande amante di alcuni cantautori italiani (Tenco, Ciampi, Endrigo, Benvegnù, Modugno, Parente, Madonia) e estimatore delle sonorità del pop-rock anglosassone meno isituzionale (Smiths su tutti). Devo ancora compiere un lungo cammino, ma sono contento di parecchie cose all’interno di questo disco.
Il tuo primo album ha riscosso un notevole successo. Per freschezza dello stile e per musicalità. Dove nasce il singolo “Messalina“?
Nasce dagli accordi di piano iniziali, reiterati finché è nata la melodia delle strofe. Nasce dall’essere reduce da un amore tormentato, tutto nervi, eros e ruoli prefissati, appoggiato sull’estetica la quale a sua volta s’affacciava nel vuoto. Una tensione meravigliosa, che però quando si scioglie lascia tramortiti e anestetizzati – prima la seduzione, il divertimento, la complicità, poi un senso di estraneità, di decadenza. Un passato che era già lì, anche nel presente.
Quanto c’è di autobiografico nei tuoi scritti?
Moltissimo, anche se spesso filtrato in vari modi. Messalina stessa non è più soltanto la donna reale alla base della canzone, ma diventa uno spunto per dire anche altre cose. Le canzoni più riuscite sono quelle personalissime che poi, misteriosamente, nello svolgersi fanno dimenticare da dove erano nate. Mi capita spesso di non ricordare più l’occasione da cui nacquero.
Ricevo parecchie mail da persone che mi raccontano le loro interpretazioni di Messalina e trovo che vadano sempre tutte bene: si sa, le canzoni poi han vita propria.
Quali sono le sfumature che colorano questo lavoro nelle dieci tracce?
Direi dal nero della disperazione più tetra al bianco della salvezza. In mezzo ci sta il viola, colore energetico e magico, e non certo foriero di disgrazie come vuole il pregiudizio medievale.
Numerose le collaborazioni che si trovano in questo primo lavoro ci racconti quella con Paolo Benvegnù?
Conosco Paolo dalla metà degli anni Novanta, l’incontro con lui è stato per me determinante. Il suo esempio mi ha dato spesso forza nei momenti più difficili e lui, in prima persona, ha fatto molto per me. Abbiamo fatto insieme una lunghissima e accurata produzione di quello che doveva essere il disco, nel 2004. L’album poi, per varie ragioni, è rimasto nel cassetto e dopo due anni ho deciso di affrontare in prima persona la produzione artistica, ma senza i suoi insegnamenti non c’avrei nemmeno provato. E’ un artista di spessore rarissimo e un uomo nuovo, pur essendo antico, venendo da molto lontano nel tempo. E non parlo certo di età anagrafica. Preziosissimo anche Andrea Franchi, suo collaboratore numero uno e artista dal genio multiforme. Mi hanno anche aiutato umanamente, in un momento per me molto difficile.
La musica “indipendente” si afferma nel mercato pop. Come è avvenuta questa combinazione, quale il segreto?
Non penso ci sia un segreto. Ho incontrato delle persone che hanno creduto in un progetto che aveva l’ambizione (chissà se soddisfatta) di fare musica pop-olare in un modo che rifuggisse alcune ovvietà, nel suono e nel significato, che affliggono molto pop italiano. Abbiamo fatto registrazioni, stampa, videoclip e promozione con un budget significativo per una etichetta indipendente ma ridicolo per gli standard dei grossi canali. Personalmente non posso che ringraziare ancora una volta Linus e Radio Deejay per l’appoggio che hanno dato a un progetto come il mio, indipendente ed esordiente – non era una scelta ovvia ma loro l’hanno fatta, dimostrando anche una certa autonomia di giudizio rispetto a certi presunti schemi.
In qualche modo ti senti vicino allo stile di Fabio Concato?
Non saprei, non credo, io tra l’altro, specialmente dal vivo, grido come un pazzo! A parte gli scherzi, l’unico contatto che ho avuto con lui è stato l’ascolto di alcuni suoi album da ragazzino, quando andavo al lago coi miei genitori e mio padre lo sentiva in auto. Istintivamente quindi lo associo a delle belle sensazioni.
Ritieni che il tuo arrivo alla pubblicazione del primo album sia stato un percorso difficile?
Abbastanza complicato, sì. Se conto l’inizio del lavoro su me stesso ci sono voluti otto anni, durante i quali è successo di tutto, cose belle e cose pessime. A posteriori posso dire di essere felice che sia andata così, ora so, diciamo al settanta per cento, quel che sto facendo. Prima sarei stato in balia di me stesso.
Hai partecipato al Cornetto Freemusic Festival. Come hai vissuto questa esperienza?
E’ stata come una gita delle medie, ma a trent’anni di età. Abbiamo suonato davanti a sessantamila persone ma tutto sommato non ce ne siamo resi del tutto conto: su quei palchi si sta a una distanza abissale dal pubblico, è una sensazione bizzarra. Dopo il concerto siamo scesi tra la gente e abbiamo conosciuto moltissime persone – lì ho visto quanta fame di musica, specialmente dal vivo, c’è nell’Italia del sud (la maggior parte dei ragazzi erano meridionali). Da allora è nata in me la convinzione che mi sarei trovato bene a suonare al sud e adesso posso dire che non sbagliavo. A Maggio abbiamo fatto qualche data di presentazione del disco in Puglia ed è stata un’esperienza bellissima. Spero, da Settembre in poi, di poter tornare presto al sud a suonare, per me è come essere a casa.
Com’è è stata la tua collaborazione con Raf?
Non c’è stata una vera e propria collaborazione. Giorgio Baldi, chitarrista e co-produttore di Max Gazzè, allora suonava con lui. Giorgio è sempre stato squisito con me (abbiamo molti gusti musicali comuni, tra l’altro) e non ha mai nascosto la stima nei miei confronti. Quando Raf s’è messo a cercare dei pezzi per l’album nuovo Giorgio mi ha chiesto se volevo che gli facesse sentire dei miei provini e la sera stessa mi ha chiesto se volevo che fosse inserito nell’album. Un’esperienza disorientante, lì per lì, che mi ha dato moltissime soddisfazioni. Il brano, tra l’altro, che si chiama “Aria da niente”, è uno di quelli che preferisco tra le mie cose, dal vivo la suono a ogni concerto. Forse un giorno la registrerò anche io.
Il video di “Messalina“