Al microfono di Patrizio LONGO incontriamo Gianni Maroccolo protagonista anche in questo ultimo capitolo dei PGR dal titolo Ultime notizie di cronaca.
Un lavoro che sottolinea la lucida coerenza fra tre musicisti che a volte hanno percorso strade differenti e che hanno saputo poi ritrovarsi per concludere il capitolo con questo disco, per nulla semplice nell’ascolto ma di indiscussa bellezza.
Al microfono di Patrizio Longo, incontriamo Gianni Maroccolo. Ciao Gianni!
Ciao Patrizio, bentrovati a tutti!
Ultime notizie di cronaca: l’ultimo capitolo di una storia?
Sicuramente sì. Chiusura del progetto dei PGR, di un periodo, di un ciclo di vita. Di vita di gruppo, per lo meno. Per il resto siamo in ottimi rapporti, ci si vuole bene e ci si stima, quindi non è detto che tra qualche anno non possano esserci degli “incontri incrociati”. Non è da escludersi. Però come progetto “permanente”, di gruppo, si tratta di un ciclo che si chiude.
Stai anticipando qualcosa sulla quale state lavorando?
No, non per il momento. Dicevo solo che non si tratta di uno scioglimento convenzionale, dovuto al sopraggiungere di problematiche, di differenza di vedute, di rapporti umani che si incrinano o cose del genere. Abbiamo preso consapevolezza, già da un paio d’anni, che questo non era un gruppo. E che forse non lo erano fino in fondo nemmeno i CSI. Per cui era giusto che si mettesse la parola “fine” a questo progetto, inteso come gruppo. Non ci sono motivi, invece, per escludere che ci si possa rincontrare tra noi. Tra me, Giorgio e Giovanni, e magari anche con qualcuno dei nostri vecchi compagni di viaggio. Non c’è niente da escludere, così come non c’è nulla che bolle in pentola. Questo disco serve a prendere atto di questo: della chiusura di un progetto di gruppo, e di un’esperienza che ci ha accomunato per quasi vent’anni.
Il percorso di Giovanni Lindo Ferretti, a tuo avviso, perché ha diviso il pubblico tra chi si è indignato e chi ne è rimato affascinato?
Credo che questo faccia parte del “personaggio” Giovanni, più che della “persona” Giovanni. Posso dire di conoscerlo abbastanza bene, dato che ci frequentiamo ormai da vent’anni, e non riesco a notare tutti questi grossi cambiamenti nel suo pensiero. Diciamo che è ritornato da dove era partito: ha avuto un suo “credo” molto forte, e ha scommesso, schierandosi – politicamente – anni fa in maniera molto forte, ed è rimato deluso, fregato. Ed essendo un po’ eccessivo è andato dall’altra parte. Non mi meraviglio: sono sempre rimasto affascinato, e mi è sempre piaciuto lavorare con Giovanni, per la poetica dei suoi testi, che va un po’ al di là del contenuto. L’uso delle parole, la sua capacità di farti riflettere… mi piacciono moltissimo anche la sua vocalità, particolarissima, il suo modo di fare i “mantra”, di salmodiare con la voce, ed il modo di cantare che ha inventato. Quindi non riesco a capire… o meglio: riesco a capire, ma non a giustificare, chi dice che si sente tradito o gratificato dalle scelte personali della vita di Giovanni. Personalmente sono molto diverso da lui, per cui scelte di un certo tipo fanno parte della sfera privata della vita di un musicista, che non ha a che fare con le parole. Lui, scrivendo i testi, ed essendo sincero ed onesto intellettualmente, utilizza sia le canzoni che le sue uscite – un po’ estemporanee – con i media, per mettere in gioco anche la sua vita privata, oltre a quella artistica. È una scelta che rispetto ma che non condivido.
Sono nove, le cronache che scandiscono il nostro tempo. In che modo?
A tutto tondo: musicalmente cercano di essere colonna sonora e sonorizzazione del mondo che Giovanni descrive in questo disco. Alcune cronache, sono di tipo filiale, intimo, privato, mentre altre – come Cronaca di guerra 1 e 2 – sono un occhio sul mondo, su ciò che succede, che ci circonda, che ci coinvolge. O che ci “dovrebbe” coinvolgere. Si alternano esternazioni del momento intimo di Giovanni, ad altre che rappresentano un po’ ciò che l’occhio di Giovanni vede, il suo occhio sul mondo.
E’ un lavoro che sembra prendere delle nette posizioni pubbliche rispetto alla società?
Questa è una domanda a cui, probabilmente, dovrebbe rispondere Giovanni. Non credo che abbia avuto, nelle sue intuizioni, questo tipo di presunzione. Non c’è alcun distacco, mi sembra che sia tutto molto disincantato. Anche freddo, nelle descrizioni, soprattutto quella che coinvolge il nostro vivere attuale. Ciò che riguarda il suo intimo, invece, è una presa di posizione molto seria, molto importante, che diventa pubblica sul suo modo di affrontare la vita e le cose che sta vivendo. Su cosa e come vuole vivere, all’interno di questo mondo e di questa società.
Com’è stato ritrovarsi all’interno di questa lunga pausa?
Non è stata una pausa lunghissima, ogni tanto ci ritrovavamo. Musicalmente è servito, perché c’era molta voglia, al di là di quello che ognuno di noi pensa… io non ho mai fatto un disco obbligato da un contratto… si tratta del piacere di chiudere dignitosamente questa storia, soprattutto per rispetto a delle persone che per venti e passa anni hanno creduto molto in noi, ed hanno reso possibile con noi il fatto che progetti come Litfiba, CCCP, CSI, PGR abbiano avuto una loro ragion d’essere. Per me è molto importante chiudere in modo bello, importante, questo ciclo. Per rispetto a tutte queste persone, ma anche perché, tutto sommato, quest’album io lo considero il nostro secondo dei PGR. Avevamo deciso di ripartire con PGR dopo l’esperienza CSI, cercando di andare completamente altrove da quello che erano state le nostre esperienze, di provare a ripartire. Con la produzione di Hector Zazou c’eravamo riusciti: in qualche modo il primo album dei PGR rappresenta una sorta di puntata zero, un pilota di quello che avremmo voluto e potuto essere. Poi l’improvviso abbandono di Ginevra e Francesco ci ha portato a fare un disco in emergenza come D’anime e d’animali, che è stato un po’ come tornare ai vecchi tempi, interrompendo quel processo creativo che era stato messo in moto con il primo album. Questo mi rendeva molto perplesso e triste, perché, in qualche modo, rendeva PGR una sorta di progetto “incompiuto”. Il nuovo disco ha vissuto anche degli stimoli forti e della volontà di proseguire quel percorso che era stato interrotto. E su questo c’è stato poco da discutere perché, quando ci siamo ritrovati, tutto è avvenuto in maniera assolutamente naturale: pochi suoni, minimalismo eccessivo, molto più spazio alla vocalità e alle parole. Tutto ciò che serviva, e non una nota né un suono di più. Forse, anzi, anche qualcosa in meno, proprio com’era stato all’inizio del capitolo PGR.
Potremmo affermare che D’anime e d’animali sia stato, quindi, una parentesi all’interno di questo progetto?
Sicuramente la percepisco come tale, ma credo che anche gli altri possano dire la stessa cosa. Anche se non posso non essere affezionato a canzoni di quel disco, come Casi difficili o Cavalli e cavalle. C’erano due o tre canzoni meravigliose in quell’album, ma come progetto creativo di per sé non era previsto. È stato un ritorno a sonorità piuttosto rock, a quei luoghi che stavamo facendo di tutto per tenerci alle spalle… sempre, intendiamoci, con l’orgoglio e la soddisfazione che ci fossero, stati quei tempi. Però, sì, era sempre abbastanza avulso dal discorso PGR. D’anime e d’animali, con qualche zampata di tastiere in più e un riffettino di Zamboni, potrebbe essere tranquillamente un disco dei CSI.
Quando avete pensato a questo ritorno?
Ci si pensava da tre anni, solo che io, per miei motivi contingenti, negli ultimi due anni sono stato presissimo dalla rivoluzione all’interno del progetto Marlene Kuntz. Abbiamo lavorato molto su un sacco di cose, abbiamo fatto un disco particolare la cui lavorazione è durata sette o otto mesi. Poi ho avuto il progetto con Ivana, e Giorgio aveva il suo disco, mentre Ferretti faceva tutte le sue serate, molto particolari, con i suoi spettacoli in giro. Quindi quando era libero uno non lo era l’altro, e alla fine ci siamo detti: «Troviamoci una volta, seriamente, e definiamo un periodo, così siamo sicuri di sapere quando abbiamo questa cosa da fare.» Ci siamo visti a gennaio dell’anno scorso, a casa di Giovanni, e si decise che, più o meno, sarebbe stato questa primavera qui. Ci siamo aggiornati a gennaio di quest’anno.
Pensi che la coerenza sia stata alla base di questo percorso?
No, non credo. La coerenza forse ha a che fare con l’onestà intellettuale di ognuno di noi, e con la passione che ognuno di noi ha messo nell’attività che ha fatto. Abbiamo sempre creduto in quello che abbiamo fatto, anche quando magari non siamo riusciti ad essere a livelli altissimi (ride), perché non tutte le ciambelle ci sono uscite col buco, in tutti questi anni. Però devo dire che c’è stata una certa coerenza dovuta in parte alla consapevolezza di essere una sorta di piccolo riferimento per un sacco di persone, che comportava una certa serietà, da parte nostra, nell’affrontare tutto ciò che facevamo, sapendo che avevamo – che abbiamo tuttora – un rapporto molto importante con questa persone. È in questo che c’è coerenza, perché ognuno di noi – con i propri pregi, i propri limiti, i propri difetti – è una persona veramente molto seria. A livello musicale e creativo, ma non credo che alla fin fine questo sia stato un male, si è cercato di essere il meno coerenti ed il più eterogenei possibile. Questo sia per nostra connotazione personale che per scelta. Abbiamo sempre cercato di tenerci alla larga da qualsiasi tipo di omologazione. CSI, PGR, ma anche i progetti che ci hanno coinvolto prima di questi, son sempre stati dei progetti prendere o lasciare: nessuno ha mai potuto dire «I Litfiba mi ricordano questo» o «I CCCP mi ricordano quell’altro». Magari oggi si può dire – e lo dico molto immodestamente, non per presunzione – che qualcuno assomigli ai Litfiba, o ai CSI. Credo che questa sorta di “coerenza incoerente”, a livello di contenuti e di messaggi artistici e creativi, è stata un po’ la forza di quello che abbiamo fatto in questi anni.
Grazie a Gianni Maroccolo. In bocca al lupo per tutto, e alla prossima!
Grazie, alla prossima! Ciao!
foto: Annalisa RUSSO
Ascolta intervista audio a Gianni Maroccolo.