Appena compiuti i vent’anni di carriera Lorenzo Cherubini presenta il nuovo lavoro dal titolo “Safari“. Un disco emozionale che si presenta sul mercato in diversi formati multimediali.
Jovanotti racconta al microfono di EXTRANET questo successo dalla gioventù trascorsa in Radio ai primi amori conquistati per merito del successo raggiunto. Una nota va anche al prossimo festival di Sanremo di cui confessa un affetto particolare.
Ed eccoci qui, al microfono di Extranet! Subito entriamo in contatto con uno dei personaggi del momento, Lorenzo Jovanotti. Ciao Lorenzo!
Ciao, ciao!
Dicevo…
Mi fa un certo effetto sentirmi definire “personaggio del momento”, perché alla fine compio vent’anni di vita [n.d.r. artistica]. Devo dire che è un piacere, uno dei più grandi… musica per le mie orecchie.
Il 18 gennaio è uscito il tuo nuovo album, che si intitola “Safari“, proprio a voler giocare con le parole. Safari è un nuovo album, dal gusto più raffinato rispetto ai precedenti lavori. Un disco emozionale, potremmo definirlo?
Sì, forse sì. Sai, le definizioni – naturalmente – sono sempre un compito che lascio agli altri, perché definire il proprio lavoro è impossibile. È anche, forse, inutile. Quindi il bello, appunto, è che uno fa un lavoro e poi gli altri lo definiscono. Mi piace anche stare a sentire come gli altri vivono le cose che faccio.
Per me, in realtà, è un altro disco, in cui ho fatto delle scelte differenti rispetto a i precedenti, semplicemente privilegiando quei pezzi che mi facevano… ecco, tu parli di “emozionale”… sì, che in qualche modo toccavano delle corde, dalla testa in giù, diciamo, e non dal collo in su.
Per cui, tutte quelle canzoni che mi suscitavano quello che chiamano “farfalle nello stomaco”, no?
Si.
Quella cose lì. Probabilmente è venuto fuori un disco del genere, ma senza volerlo. Semplicemente seguendo l’istinto e quello che in quel momento mi piaceva fare.
Non c’è un progetto vero e proprio dove all’inizio del progetto dico: «Voglio fare un disco così.»
Mentre i dischi si fanno, prendono una forma che poi in qualche modo ti rassomiglia, assomiglia a quello che stai vivendo in quel momento, a quello che vuoi ascoltare in quel momento. Però, ascoltando questo disco, mi rendo conto che probabilmente è rimasta fuori una visione musicale che avevo frequentato in passato e che però non è rimasta fuori, come dire, per sempre, esclusa dalla mia vita.
Magari è rimasta fuori per questo disco perché questo disco aveva bisogno di questo, ecco.
La parola “safari” può significare tante cose. Può rappresentare il viaggio, può rappresentare il nome di alcuni software che vengono utilizzati per la rete… È una parola, diciamo, abbastanza universale e anche facilmente riconoscibile.
Una parola abbastanza vuota, anche, no?
E’ una parola che in qualche modo ognuno riempie come vuole.
Ormai “safari” potrebbe veramente… non so, può essere una caramella, può essere una macchina, può essere una jeep, può essere un viaggio, un’agenzia. “Safari” può essere un paio di occhiali, può essere veramente di tutto. Questa cosa mi piace perché è la natura pop di questa canzone. Di questa parola, che poi è anche una canzone. Però c’è anche dentro, nella sua anima, il significato originario che noi gli diamo: farsi un giro per cercare di beccare bestie feroci.
In fondo è questo il primo significato che vi viene in mente per “safari”, e forse è il significato più importante. Cioè la ricerca, in qualche modo, di animali allo stato selvaggio, non ingabbiati. Mi sembra che sia il senso principale di questa parola.
Adesso riprendo alcune tranche della canzone: «…e rido, e piango, e mi fondo con il cielo e con il fango» Quando Lorenzo incontra il cielo con il fango, in quale stato d’animo?
Mah, sai, in fondo sono le due chiavi di lettura dell’esistenza. Sono i due elementi principali, il cielo e il fango, e poi sono metafore semplici, quasi elementari, no?
Il fango è l’origine della vita, è il cielo è forse il luogo in cui andiamo a finire. In qualche modo il cielo e il fango sono la stessa cosa, per la nostra percezione.
Sono due luoghi sacri e allo stesso tempo in cui avviene la vita, in cui avvengono e passano i nostri giorni. E sono due metafore molto blues, in fondo. Comuni ad una certa tradizione musicale.
Il cielo e il fango sono semplici, elementari immagini che stanno bene in una canzone. E questo disco è fatto di immagini elementari. Io lo chiamo un disco elementare nel senso proprio degli “elementi”, della presenza degli elementi.
Le parole chiave di questo disco sono proprio il cielo e il fango, il fuoco, l’elettricità, l’acqua. E quindi, me le ritrovo poi alla fine del disco.
Non è che sono le parole dalle quali parto, sono le parole che restano. Quando uno poi setaccia tutte le canzoni.
Un disco ricco di collaborazioni, “Safari”. Così diverse tra loro: c’è Ben Harper, Giuliano Sangiorgi, Sly & Robbie. Una reminiscenza dal tuo passato da dj?
Sì, anche del mio presente, devo dire.
Sly & Robbie
sono una delle cose che più ho ascoltato e più ascolto. A me piace molto il dub, tutto il dance hall, la tradizione ritmico-musicale giamaicana mi è sempre piaciuta molto. Da Bob Marley, e anche prima di Bob Marley, in poi, insomma. Pur avendo avuto innamoramenti caraibici di altro tipo, insomma, più ispanici, però… la parte giamaicana, reggae, ha sempre avuto uno spazio “nel mio iPod”, adesso direi. Prima avrei detto “nel mio scaffale dei cd”, prima ancora “nei vinili”…
“Safari”, un disco abbastanza poliedrico, nelle espressioni. C’è un cd, un cd deluxe, un dvd, alcuni contenuti extra che vengono distribuiti attraverso una chiavetta usb, e anche contenuti acquistabili da internet. Questa nuove frontiere della comunicazione, rappresentano a tuo avviso i nuovi, futuri canali della distribuzione musicale?
Secondo me sì, nel senso che queste ancora sono tutte questioni esplorative, diciamo così. Perché poi, se tu parli con la casa discografica loro ti dicono, giustamente, che comunque ancora il 90% del loro business è legato proprio al cd tradizionale.
Al cd che trovi nei negozi. Però naturalmente c’è tutto un mondo che si sta muovendo, che ancora è fatto di piccoli numeri, ma di grandi aspettative. Per cui è giusto piantare una bandierina, credo, in quel mondo lì. Perché, comunque, il futuro si muove in quella direzione, sicuramente. Anche se io non darei per spacciato il cd, ancora. Il cd semplice, normale, con le sue canzoni, perché poi alla fine ancora oggi… insomma, non correrei troppo veloce. Ancora oggi, si compra un disco su cd e poi ne fai quello che vuoi: te lo masterizzi, te lo scarichi sul computer, te lo metti sul tuo iPod… in fondo le case discografiche, se perdessero il cd, in questo momento ancora non saprebbero che pesci pigliare. Questo è un problema industriale, diciamo così.
Certo.
Che ci coinvolge, a noi artisti perché, è il nostro mestiere. Però io confido sul fatto che poi, alla fine, l’industria deve sopravvivere e farà di tutto per riuscirci, differenziandosi il più possibile nei suoi formati, di distribuzione.
In apertura del nostro incontro parlavamo di vent’anni di carriera, dall’88 al 2008. Vent’anni di grandi successi. Com’è cambiato Lorenzo durante questo percorso. Hai un atteggiamento più riflessivo nei confronti del mondo?
Mah, no, non so se è cambiato il mio atteggiamento. Io non ho mai avuto un atteggiamento nei confronti del mondo, in realtà, che sia modificato nel tempo. In fondo sono sempre lo stesso.
Sì, io mi guardo e le mie caratteristiche, la mia essenza è rimasta quella, e penso che rimarrà quella sempre. Tanto che a volte mi rendo conto che è un mio limite, il fatto di avere, così, sempre quest’atteggiamento un po’ da adolescente eterno.
Forse proprio perché, non avendo avuto un adolescenza, io me la costruisco strada facendo nella vecchiaia. E ci metterò un po’, una novantina d’anni, a passare per la mia adolescenza, proprio perché quando era il momento giusto non l’ho avuta. Ma non è che non l’ho avuta perché ero disadattato. Perché poi, in qualche modo, ognuno è disadattato a suo modo. Ma semplicemente per una casualità di eventi, insomma, che ha fatto si che io non abbia passato quel periodo tra bar e gruppetto di amici, muretti e compagnia bella.
A quattordici anni mi sono innamorato della musica e non ho fatto altro. Escludendo dalla mia vita ogni altro tipo di attività, diciamo così. Anche quella sessuale, nel senso che poi, alla fine, io ho cominciato a piacere alle donne quando sono diventato famoso. Perché mi veniva facile. Prima era una cosa che non aveva molto a che fare con la mia vita. Ma non perché fossi… semplicemente proprio perché la musica occupava tutti gli spazi, come se fosse un liquido che aveva occupato ogni interstizio possibile della mia esistenza.
La musica intesa come per me era la passione, insomma, fare il dj, far la radio, quelle cose lì. E quindi mi ritrovo a essere sempre lo stesso, poi, nei confronti della vita.
Cambiano le cose, però il mio atteggiamento è sempre così: un po’ curioso, un po’ aperto, un po’ anche forse ingenuo, rispetto a tante cose.
In chiusura del nostro incontro, siamo alle porte di Sanremo, posso chiederti un giudizio?
Mah, io giudizi devo dire che non ne do neanche sulle cose importanti, pensa su… cioè, ci mancherebbe altro, Sanremo non ha bisogno del mio giudizio, e io non ho bisogno di darlo. Mi va bene Sanremo, io voglio bene a Sanremo.
Se mi guardo indietro e penso a me da bambino o a me nel corso di questi anni, mi rendo conto che sarebbe stupido e snobistico non dire che Sanremo ha avuto un ruolo nella mia… nella formazione del mio immaginario, insomma.
Io ricordo
Vasco, con “Vita spericolata”, ricordo Peter Gabriel che si lancia con la liana in mezzo al pubblico, ricordo un fantastico STING. Sting che canta “Russians”, ricordo… no, ho dei ricordi belli di Sanremo.
Ricordo quando c’era il Palarock, tutti quegli inglesi che arrivavano… insomma era il nostro momento. Era il momento in cui l’Italia respirava musica per una settimana, non si parlava d’altro e il momento in cui la musica era in prima pagina, e per uno che fa musica avere la musica in prima pagina è sempre un fatto positivo.
Si.
Non c’è mai, insomma. Quindi, io devo dire che difendo Sanremo, se non altro perché è l’unica cosa che abbiamo. Se non ci fosse neanche Sanremo, sarebbe peggio.
Poi penso che abbia fatto anche… che sia stato un luogo fortunato per un sacco di gente? Penso a Eros, alla Pausini a Zucchero, insomma, quanta gente…
Io penso che si possa vivere tranquillamente anche senza Sanremo, però visto che c’è godiamocelo, e cerchiamo di divertirci.
Ognuno lo può usare come vuole Sanremo: ti puoi mettere davanti alla tv e tirargli i pop-corn, e dire le cattiverie, oppure lo puoi guardare cercando di capire dove sta andando la musica pop italiana. Insomma, è un luogo, devo dire, che mi diverte, mi piace che ci sia. Voglio bene a Sanremo.
Grazie, Lorenzo, per la disponibilità!
Grazie a te, io vi saluto e mando un abbraccio a tutti!
Alla prossima, ciao!
Ciao ciao ciao!
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