Sonorità per raccontare di viaggi, sogni e malinconie in The Eternal Dreamer il nuovo lavoro per Marco Selvaggio che incontriamo al nostro microfono, bentrovato. Salve a tutti!
È un piacere essere di nuovo ospite di questo fantastico sito che già qualche anno fa ho avuto l’opportunità di conoscere grazie a Patrizio e alla sua passione per la musica.The Eternal Dreamer un disco dove vita e amore si intrecciamo la vita è amore?
The Eternal Dreamer è un disco davvero particolare ed unico nel suo genere. Un album poetico e sognante dove molto spazio è lasciato alla fantasia e alla dimensione onirica. Ci sono molte metafore legate ai percorsi della mia vita, il tutto misto a un velo di malinconia, rappresentativo della realtà che ci circonda e che ci accompagna sempre, ma che cela dietro di sé un grandissimo amore per la vita. I temi portanti dell’album sono infatti l’amore, la vita ed i sogni! Il tutto visto sempre sotto diversi punti di vista e prospettive.
Un lavoro che lascia libero spazio all’improvvisazione guidata dalle emozioni del momento?
L’idea di realizzare The Eternal Dreamer è nata nella mia testa anni fa. Ma solo due anni fa tramite Nica Midulla e Simona Virlinzi della Waterbirds Records e mio padre Filippo Selvaggio son riuscito ad iniziare questo progetto. Ho raccolto le idee e i miei brani – grazie anche al produttore artistico dell’album Toni Carbone e al compositore e chitarrista Giuliano Fondacaro che mi ha aiutato nella scrittura di alcuni brani scrivendo anche la musica di due brani del disco – e da lì è iniziato tutto. I brani son nati lentamente nel tempo! È stato un lavoro duro e bellissimo. Alcuni brani son nati dall’improvvisazione, ma in fin dei conti la maggior parte delle canzoni nasce un po’ per gioco e si trasforma poi in magia! Durante il lavoro di studio abbiamo invece modificato un po’ alcune canzoni iniziando a lavorare per tappe con gli strumentisti. Lavorare in studio è stato stupendo ed un’emozione incredibile che porterò sempre dentro. Spesso non si vede l’ora di finire di incidere un disco. Solo che poi una volta finito inizia a mancare l’aria dello studio di registrazione e si desidera tornarci. Questo disco è un po’ la somma di tutte le mie esperienze di vita e non potrei più soddisfatto di adesso, del lavoro svolto.
Diverse le metafore legate alla tua esistenza ce ne racconti qualcuna?
La mia esistenza è da sempre stata piena di viaggi. Nella vita ho avuto la fortuna di girare moltissimo il mondo e questo mi ha reso un po’ quello che sono. Molte canzoni son nate durante i viaggi! In treno, in aereo, in un bar a Londra, in una spiaggia in Australia. Chiaramente anche nel camino di casa o nel mare di Acitrezza.
Che rapporto hai con il sentimento della malinconia, lo accetti e ti lasci sopraffare?
La malinconia e la nostalgia sono due sentimenti che mi appartengono da sempre. Sono un po’ il punto di partenza dei miei brani e la chiave per leggere la maggior parte dei miei testi. Io accetto volentieri la malinconia. Spesso la cerco e qualche volta mi lascio sopraffare. È in quei momenti che riesco a scrivere come vorrei. La malinconia che mi appartiene però cela sempre un velato romanticismo ed una grande carica di vita e di riscossa.
Torniamo a parlare dell’Hang di questo magico strumento, così evocativo?
L’incontro con l’hang è stato del tutto casuale. Mentre camminavo per Roma, a Trastevere, ho sentito questo suono provenire in lontananza. Incuriosito ho seguito il suono perché pensavo venisse da un locale, pensavo fosse un cd. Poi mi sono avvicinato e ho visto un musicista dell’ Est Europa che suonava a terra su un marciapiede e mi sono praticamente innamorato dell’ Hang. La prima volta che uno lo ascolta resta di stucco, io ero davvero impressionato. Mi sono avvicinato chiedendogli di poterlo suonare e dopo gli ho chiesto alcune informazioni. Mi ha detto che si chiamava “Hang” e che lo facevano in Svizzera e io ho subito pensato: “Perfetto! Domani lo cerco e lo compro”, nella mia ingenuità. Sono andato su Google e usando come parola chiave “Hang” non l’ho trovato subito. Lì è nata la mia sfida, ho impiegato circa un anno e mezzo per avere il primo. Basti pensare che c’erano liste d’attesa lunghe anche quattro anni. Per poterlo avere si doveva scrivere una lettera di pugno, nero su bianco, perché se non ti reputano, diciamo “idoneo”, non lo vendono. Al momento, fortunatamente, ne ho otto. Sono uno dei pochi al mondo ad averne così tanti e questo mi consente di poter comporre davvero di tutto perché ho un’ottava completa con le alterazioni. Una volta avuto l’ Hang ho iniziato a suonarlo sulla musica house ed elettronica. Non avevo mai trovato nessuno, nelle mie ricerche, che facesse una cosa del genere. E questo è piaciuto tantissimo, perché io con l’hang compongo melodie. Ho creato un loop che la gente canticchiava ed è piaciuto tantissimo tant’è che pur non essendo subito compresa a Catania questa mia sperimentazione sonora mi hanno confermato delle date a Monaco e Londra ed ho iniziato ad incidere il primo EP. Dopodiché mi sono cimentato nella musica lirica e classica. Da ultimo infine l’ho utilizzato nella musica pop con questo disco, diciamo, anche se poi non è un vero pop di quelli commerciali, come si intende comunemente, ma è un pop molto indie, molto sognante. Sono atmosfere molto mistiche, sognanti, surreali. C’è di tutto in questo disco, anche un retrogusto elettronico, una vena rock dentro alcuni testi.
Il disco lascia spazio oltre che a diverse tracce strumentali anche a cantati in inglese ed uno in francese. Com’è risultato l’armonizzare il lavoro è stato complesso come lavoro?
È stato un lavoro durato oltre un anno e mezzo anche per la decisione di volere all’interno del disco interpreti madrelingua o con la massima padronanza della lingua inglese e francese e per la meticolosa cura dei suoni. I featuring arrivano da ogni parte del mondo. Ho mandato migliaia di email e ascoltato all’incirca 50 voci per ogni canzone per un totale di poco più di 350 voci Daniel Martin Moore, che canta il singolo “The Eternal Dreamer”, è stato il primo a venir fuori proprio perché il singolo è uscito prima del disco. È un cantautore statunitense che personalmente adoro, dalla voce calda e soffice a tratti nostalgica. Ritroviamo la jazz singer Anne Ducros – la quale ha anche inciso con Battiato – e canta l’unica canzone in francese dell’album “Nuage Dansant”; The Niro, unico italiano presente nel disco uscito dall’ultimo Sanremo ma che ha sempre cantato in inglese tranne che nell’ultimo lavoro discografico. Dan Davidson leader del gruppo canadese Tupelo Honey gruppo che in passato ha aperto concerti per Bon Jovi e che adesso sta andando fortissimo, a Sidsel Ben Semmane dalla Danimarca la quale ha partecipato all’Eurovision alcuni anni fa, sino a Haydn Cox e Hazel Tratt dall’Inghilterra. Gli ascoltatori devono aspettarsi un disco molto variegato che scorre piacevolmente! Un album che non annoia anche per la varietà delle voci. The Eternal Dreamer è un progetto sognante, a tratti malinconico e nostalgico, ma con tanta voglia di riscatto in cui l’amore e sogno appaiono costantemente. I testi son pieni di metafore che l’ascoltatore può interpretare in diverse maniere. L’hang poi a volte fa da protagonista altre da cornice in quello che appare essere proprio un disco nuovo e innovativo nel suo genere. Il lavoro è stato complesso ma il confronto con questi artisti mi ha notevolmente arricchito e fatto crescere artisticamente. Mi son reso conto di come molti artisti e studi di registrazione lavorano all’estero e si sono create diverse connessioni davvero interessanti e piene di reciproca stima.
Ci sono stati ascolti che hanno preceduto il lavoro?
Gli unici ascolti prima dell’inizio dei lavori son stati dentro la casa discografica nel momento in cui ho presentato il progetto The Eternal Dreamer. The Eternal Dreamer è dedicato alla memoria di Checco Virlinzi produttore catanese scomparso prematuramente. Le signore Nica Midulla, mamma di Checco, e la sorella, Simona Virlinzi, hanno riaperto lo studio di registrazione permettendoti di incidere lì l’album, tutto questo dona una valenza in più al tuo lavoro, una forte esperienza per un musicista catanese. Credo proprio di si. Io non ho mai avuto la fortuna di conoscere Francesco ma tramite i racconti di Simona e Nica è come se fosse stato accanto a noi nella stesura di questo lavoro e in studio di registrazione. Il disco è dedicato alla sua memoria ed io ne son davvero felice. È un uomo che ha fatto tantissimo per la città di Catania che grazie a lui ha vissuto un periodo d’oro. Basta pensare che nel 1995 ha portato in Italia come unica data italiana i R.E.M. accompagnati in apertura dai Radiohead. Ha prodotto Carmen Consoli, Mario Venuti ed altri grandissimi artisti! Sono davvero orgoglioso di avere al mio fianco Nica e Simona.
Sei riuscito a portare il suono del djembè in discoteca e a incantare il tuo pubblico con il timbro fiabesco dell’Hang, la tua musica rompe gli schemi convenzionali generando nuove surreali armonie. Quando crei le tue melodie quale artista o generi ti piace ascoltare c’è qualcuno a cui ti ispiri?
Con l’hang ho davvero sperimentato moltissimo. Sono uno dei pochi che lo suona dal vivo sulla musica house ed elettronica e questo mi dato la possibilità di viaggiare moltissimo suonando un po’ in tutta Europa. È stata una caccia di suoni e una sperimentazione che ha colto nel segno anche se a Catania non è ancora arrivata pienamente. I miei gusti musicali son molto variegati. Adoro il folk, il jazz ed l’indie pop soffice e sognante. Artisti come William Fitzsimmons ed Angus & Julia Stone. Nick Drake e Jeff Buckley. Ben Harper e Damien Rice. Non mi ispiro a qualcuno in particolare ma alla musica in genere che ascolto e a molti libri che ho letto così come e soprattutto alle mie esperienze di vita dalle quali traggo la maggior parte dei miei testi.
Foto: Fabio Florio