La sua musica prende ispirazione dalla strada, dal vivere comune nei quartieri popolari proponendo uno stile forte e diretto senza mai scendere a compromessi. Ha recentemente pubblicato il secondo disco che rifacendosi al singolo Fin qui tutto bene (Universal Music) ne prende il titolo e sembra che segua la scia del precedente, classificatosi con il disco d’oro. Un lavoro con rivela una prospettiva artistica e compositiva più matura ed ampia, interessante il crossover con Giusy Ferreri nel brano La Rivincita e l’attenzione rivolta alle basi ritmiche che hanno visto la partecipazione di nomi come Deleterio, Don Joe per l’elettronica più intensa di Crookers e The Bloody Beetroots.
Al microfono di Patrizio Longo incontriamo Marracash. Bentrovato!
Ciao a tutti!
Fino a qui tutto bene, un disco che attraverso l’uso delle metriche racconta del perbenismo?
No, in realtà racconta della società italiana, di questo paese che ai miei occhi sta precipitando.
Alla musica da sempre è riconosciuto il potere della parola. Come hai imparato ad usarla nel tempo? I rappers sono i nuovi poeti metropolitani?
Sì. Essendo il rap quello che faccio ed avendo io una matrice urbana, di strada, posso dirti che non è una cosa che impari dai libri, o semplicemente “decidendo” di imparare. È una cosa abbastanza istintiva, almeno nel mio caso. Come dicevi tu, io credo che il rap oggi sia il nuovo cantautorato, l’unico genere che ancora veicola un messaggio, un testo che possa arrivare alla gente.
Raccontavi di un paese in caduta libera, ma in che modo in Italia si vive la situazione sociale?
Si vive dicendosi ogni giorno «fino a qui tutto bene», appunto. Mandando giù delle cose che in altri paesi di solito fanno arrabbiare la gente, che di solito provocano delle reazioni. Ecco, quella secondo me è la cosa più preoccupante di questo paese: che non c’è mai una reazione, qualsiasi cosa accada. Si scopre il premier con una zoccola, passa un emendamento che non ti piaccia, la legge per le intercettazioni… non c’è mai una vera reazione a cose del genere. La gente tende ad andare avanti.
Fino a qui tutto bene, un disco arricchito, oltre che nei testi, anche nei suoni. Come sono state scelte le partecipazioni e il crossover con Giusy Ferreri?
Non ci sono altri rapper ospiti in questo disco, perché è un disco molto personale, in cui mi interessava portare avanti un discorso mio, legato ad un concetto. Quindi non c’è stato bisogno di pezzi riempitivi, delle solite collaborazioni che trovi nei dischi hip hop. Anche perché ho già collaborato praticamente con ogni artista italiano degno di nota di questo genere. Quello che mi interessava, quindi, era di portare avanti il mio discorso da solo. Per le collaborazioni ho preferito chiedere aiuto per le produzioni, perché volevo che il disco avesse un sound più europeo, e che non fosse un’imitazione delle basi americane, dello stile afro-americano che secondo me è poco nostro. Ho delle collaborazioni con alcuni dei produttori più importanti del mondo, come i Crookers e i Bloody Beetroots, che attualmente un po’ se la comandano in questo settore. L’unico altro featuring che ho è quello di Giusy Ferreri, e si tratta di una partecipazione molto crossover, nata dall’amicizia e dal rispetto personale. Il brano s’intitola La Rivincita, e tratta il tema di quella “rivalsa popolare” che secondo me lei incarnava molto.
Ascoltando il precedente disco e il singolo Badabum Cha Cha cosa è cambiato in te rispetto ad oggi?
Il disco precedente era tutto visto nella prospettiva, nell’ottica di un ragazzo nato e cresciuto in periferia, e che ne voleva uscire. Trattava tematiche più “locali”, se vogliamo, più mirate ad un certo tipo di giovane. In questo disco, invece, ho cercato di ampliare il discorso… anche perché la mia vita è cambiata, ed è stato naturale per me affrontare anche nuovi temi, nuovi argomenti, ed avere una visione più omni-comprensiva.
È vero che da ragazzo ascoltavi la musica degli 883? Cosa ti piaceva di quello stile?
Vorrei sapere perché tutti mi chiedono sempre questa cosa degli 883, da quando è trapelata… (ride) Da ragazzo ascoltavo un sacco di musica, tra cui anche gli 883, quando ero molto piccolo, perché comunque gli 883 facevano quello che il rap ancora non faceva: avevano dei testi che parlavano ai giovani. Quindi, se mia madre cercava di farmi ascoltare Fiorella Mannoia, e a me m’annoiava effettivamente, io preferivo ascoltare gli 883 che – soprattutto nei primi due dischi – erano molto più giovanili, e non facevano tutti testi d’amore. Però in realtà non è che io sia un fan sfegatato degli 883 e che siano il mio gruppo preferito.
Ci salutiamo affermando Fino a qui tutto bene?
Fino a qui tutto bene!
Alla prossima ciao!!!
Ciao a voi!
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Foto: Ufficio Stampa