«La richiesta di una conclusione o l’invito a proseguire, a specificare. Tra chi insegue l’emozione della partenza e chi persegue la certezza dell’arrivo, c’è chi preferisce semplicemente il viaggio.»
Al microfono di Patrizio Longo incontriamo Max Gazzè. Bentrovato!
Grazie, bentrovato a te!
Quindi? Una parola che racchiude l’essenza del nuovo lavoro?
Sì, un concetto, un essenza… è una parola che non significa nulla, se non un invito a proseguire o a terminare una conversazione: un momento di sospensione in cui è racchiusa l’essenza del significato di Quindi?.
Mentre iniziamo il nostro incontro, viene diffuso alla radio il nuovo singolo, A cuore scalzo. Quale il messaggio?
A cuore scalzo, più che un significato letterale, rappresenta l’associazione di idee in cui si può trovare il significato… ciò che l’associazione di questi due termini comunica.
Il segreto della tua musica sta nel costruire strutture musicali semplici e testi ricchi di spunti per riflessioni?
Sì, certo… è chiaro che a me piace la musica che abbia una melodia, una complessità anche armonica. In passato ho fatto dei testi in cui c’era da decodificare un significato, in cui si doveva andare un po’ oltre quella che era l’espressione superficiale del testo. Però credo che le canzoni debbano avere una loro condizione al di là della necessità di dover tradurre un linguaggio. Per cui canzoni di quest’ultimo album, come Mentre dormi, narrano qualcosa. Come un amore primordiale, qualcosa che non ha bisogno di decodifica, arriva così com’è. Invece, nei testi più complicati, a volte è più importante l’assonanza, la musicalità stessa del testo, al di là del significato letterario.
Un disco con argomenti rilevanti nel quale si scorge una delicata ironia?
Senz’altro la velata ironia è un po’ una mia caratteristica, un mio stile, un modo di proporre dei temi che, raccontati o espressi in maniera drammatica, rischierebbero di diventare pesanti. L’ironia è un modo di far arrivare dei concetti senza renderli drammatici. È comunque anch’esso uno stile… il sarcasmo, o una forma di cinismo, fanno parte sia del mio modo di fare musica che di esprimere dei significati letterari.
Il palco del Festival di Sanremo ti ha ospitato nel 2000 ed al tuo ritorno nell’edizione del 2008. Hai avuto lo stesso impatto emotivo?
Sì, ricordo certamente tanta attesa, tanta attenzione intorno. Ad un certo punto, più che altro, è la preoccupazione degli altri che influisce sulla tua serenità. A me Sanremo incute sempre un po’ di preoccupazione, sancita sia dalle pressioni esterne che dall’importanza del “marchio” Sanremo, dell’istituzione sanremese.
Al microfono di Patrizio LONGO con Max Gazzè: cantante, bassista, compositore: cosa ti senti di più?
Sono tutte reali: sono musicista, bassista, compositore, performer, anche cantante… ma non mi definirei solo cantante… se dovessi definirmi utilizzerei più termini, ma non è che mi sveglio di mattina, mi guardo allo specchi e cerco di capire a tutti i costi che cosa sono e come sono. È un parametro di confronto con gli elementi esterni, che ci suggeriscono cosa siamo o non siamo. Io non sento la necessità di saperlo a tutti i costi.
Mi commenti questa affermazione: «In una canzone le parole e l’armonia sono come due binari paralleli che percorrono la stessa direttiva senza mai incrociarsi»?
Sì, sono due espressioni diverse. Si tratta di due forme di comunicazione che sono parallele: il senso di una canzone è dato da un significato dialettico e da un significato più musicale ed archetipico, più organico. Perché credo che la musica influenzi anche una condizione organica in maniera diretta. Il suono, in sé, accompagna e dà un significato diverso anche alle parole espresse. La storia che racconti con una canzone può essere accompagnata da un’armonia o dall’altra, e ciò che percepisci della storia è diverso, perché la musica influenza la percezione stessa della dialettica. Sono due binari paralleli: credo che il testo dovrebbe già essere musica in sé, nel momento in cui racchiude ritmiche, assonanze. Come diceva Mallarmé, «la poesia è già musica». Poi, se la si vuole accompagnare con altra musica, si può creare un contrappunto, o una mistura, un’alchimia, un’integrazione tra ritmo musicale e ritmo dialettico.
Cosa ti ha lasciato l’esperienza insieme a Paola Turci e Marina Rei che vi ha visto protagonisti nei principali teatri italiani?
Mi ha dato una bella esperienza. Io accetto ogni esperienza com’è, senza pretendere più di quello che ricevo da essa. Non mi piace avere delle aspettative, per non rimanere deluso. Mi piace cogliere i sapori e le fragranze delle contaminazioni che ricevo o che riesco a dare. Mi piace il concetto di “integrazione & contaminazione”. Quindi suonare insieme a Paola e Marina è stata un’esperienza straordinaria, perché sono due artiste che hanno fatto la mia stessa scelta di vita: quella di dedicarsi alla musica, di esprimere delle essenze attraverso dei concetti espressi in musica e parole.
Ritieni che l’uso della tecnologia e dei social network limiti la creatività nei suoi fruitori?
No, non credo, non vedo in che modo. Ci sono tanti pro e tanti contro. Forse l’unico pericolo del social network è che fanno diminuire la comunicazione diretta tra le persone: saluti il vicino di casa su Facebook, ma non quando lo incontri la mattina per le scale. (ride) È l’unico rischio che vedo. Bisogna riuscire a capire che quando due persone comunicano al di là di uno scritto, di un messaggino, c’è qualcosa di più alchemico che avviene tra le persone che si incontrano direttamente. Ci sono vari livelli di comunicazione. Io, per esempio, ho difficoltà anche a parlare al telefono: ho bisogno di percepire la persona che ho di fronte, e da quello scaturisce un livello di comunicazione che va oltre le parole espresse.
Mi auguro che in questo caso tu stia facendo un’eccezione?
No, non la faccio. (ride) Io ho proprio difficoltà a parlare al telefono. Anche ai concerti è lo stesso, mi piace fermarmi con le persone, chiacchierare, stare lì… perché così si percepisce, si indaga insieme un qualche cosa che accade. Si è partecipi dello stesso luogo, dello stesso posto, delle stesse influenze. Io credo molto nella comunicazione tra esseri umani, in quello che sono i rapporti tra anima e anima. Crediamo tanto nella separazione delle anime, ma io credo invece che stiamo parlando un una cosa unica che si manifesta tramite individualità. Se io parlo con te, in qualche modo le nostre due anime si riconoscono.
Usi ancora il tuo piccolo studio di registrazione che ti ha fatto collaborare con artisti come Frankie HI-NRG MC, Alex Britti, Niccolò Fabi e Daniele Silvestri?
Ci siamo visti spesso, ma a parte qualche frequentazione e collaborazione, ognuno di noi ha un suo studio dove memorizza le idee: ognuno fa le cose a casa propria, indipendentemente dalle frequentazioni esterne. È capitato, ogni tanto, di fare delle cose… grazie alla tecnologia, riusciamo a mandarci dei file ed a lavorare – ognuno a casa sua – anche sulle cose degli altri. In passato la nostra frequentazione era più legata ai posti, ai locali dove si prendeva una birra. E poi ognuno tornava a casa sua… (ride)
Grazie a Max Gazzè per la disponibilità, in bocca al lupo per tutto, e alla prossima!
Un abbraccio! Ascolta intervista audio a Max Gazzè. Foto: Ufficio Stampa Universal