Proviene da una famiglia di doppiatori e presta la propria voce ad un personaggio dei cartoni I Simpson che da anni affascinano i numerosi fans.Al microfono di Patrizio Longo incontriamo Monica Ward voce italiana di Lisa Simpson.
Un personaggio singolare, quest’oggi, a raccontare la sua esperienza dal mondo dei cartoni animati contemporanei. Ciao Lisa!
Ciao, ciao!
Che cosa stava facendo Lisa in questo pomeriggio?
Ho fatto un servizio fotografico molto bello, e quindi ho perso un po’ di tempo. E poi ho lavorato, ho fatto tanti cartoni animati, e sto preparando la nuova serie dei Simpson, che uscirà il prossimo anno.
Come va il tuo rapporto con Bart. Sempre con quella storia del “ciucciati il calzino”?
Guarda, la mia storia con mio fratello è proprio disperata, perché è proprio una persona insopportabile e un grande ignorante… diciamo che è un po’ come mio padre.
Monica Ward, al microfono di Patrizio Longo. La voce italiana di Lisa Simpson. Ciao Monica!
Ciao!
Un’anticipazione interessante, quella che ci ha passato: la nuova serie dei Simpson. CI puoi già svelare qualcosa?
A tutti gli appassionati di questa serie posso senz’altro dire questo: ho conosciuto poco tempo fa, quando è venuto in Italia, il regista del film dei Simpson, David Silverman, il quale mi ha rivelato che è un programma che andrà avanti ancora per chissà quanti anni: non hanno alcuna intenzione di chiuderlo. Tutte queste notizie tendenziose, su Internet, che dicono che questo cartone finirà, dicono il falso. Quindi andrà avanti, per tantissimi anni.
Monica Ward proviene da una famiglia di doppiatori. Quando è nata la tua passione? L’hai trovata in famiglia, è stata una passione spontanea?
Diciamo che è nata con la mia nascita, perché io ho iniziato a lavorare a quattro anni, non sapevo ancora leggere. Io e miei fratelli siamo stati buttati nelle sale di doppiaggio dai nostri genitori e dai nostri nonni. Mio nonno era Carletto Romano, la voce di Jerry Lewis. Praticamente facciamo questo lavoro da quando siamo in fasce. É un lavoro bellissimo, pieno di colori e di fantasia, non ci si stanca mai di farlo. É sempre creativo: quando doppi un film, e cerchi di “entrare” nell’attrice; quando doppi un cartone animato, e cerchi di rivivere quelle emozioni che sono state create con dei colori. É un bel lavoro.
A proposito del feedback che si instaura durante il doppiaggio: qualche tempo fa parlavo con Mario Cordova, la voce italiana di Richard Gere, e parlavamo proprio dello scambio che esiste tra doppiato e doppiatore, tra l’attore e l’attore che gli presta la voce. Anche nel tuo caso è così rilevante questo “scambio di personalità”? Quasi come se fosse un abito che viene indossato da un corpo…
Esatto, è un calarsi nel personaggio che fa comunque parte del lavoro dell’attore. Perché noi nasciamo come attori, è bene ricordarlo. Quindi questo entrare nel personaggio diventa assolutamente automatico, qualsiasi tipo di personaggio uno faccia. Io ho fatto un po’ di tutto: da attrici come Gwynet Paltrow, Brook Shields, Natasha Kinsky e Mira Sorvino a cartoni animati come Cenerentola, di Walt Disney, e Lisa Simpson. Poi qualcuno si ricorderà lo Steve Harcher di “Otto sotto un tetto”, a cui ho dato la voce per diciotto anni. Come dicevo, quello che conta è la grande creatività che uno ha, perché siamo prima di tutto attori.
A proposito di interpretazioni: ne hai al tuo attivo veramente tante, ma dal tuo curriculum se ne evince una che ha catturato la mia attenzione. Mi racconti il doppiaggio di Bjork in “Dancing in the dark”?
Ecco, in quel caso io mi sono sentita male. Ci abbiamo messo più o meno una settimana a fare quel film, e se l’hai visto ti ricorderai che nella scena finale c’è l’esecuzione di questa madre, e tutto il percorso durante il quale lei urla, piange, ed è straziante vedere questa donna che vive questo immenso dolore. Io sono entrata talmente nella parte che dopo la fine del lavoro, per tre giorni ho avuto un mal di testa pazzesco. Sono stata tre giorni a letto malissimo, proprio perché ci si immedesima. Lei, non avendo mai fatto l’attrice, è una persona incredibile. Secondo me è stata bravissima, un vero genio. So che ci sono voluti due anni per girare quel film, perché lei è una pazza scatenata, come spesso succede a noi artisti. Spesso, quando c’è un artista straordinario, c’è dietro un pizzico di follia, altrimenti non sarebbe così bravo. Quindi lei non si presentava sul set, per mesi diceva: «Oggi non me la sento, non vengo», oppure litigava con un tecnico e se ne andava dal set. Una pazza. Comunque è stata davvero una bella esperienza, una di quelle che ricordo con piacere.
In apertura del nostro incontro dicevo che vieni da una famiglia di doppiatori. Volevo focalizzare un attimo sulla figura di tuo padre che, tra le sue tante interpretazioni, è stato anche una delle voci più rappresentative della tv e del cinema italiano, quella delle inchieste del Commissario Maigret. Cos’hai imparato dalla professionalità e, soprattutto, dall’umanità di tuo padre?
Questo lo riscontro in me: io ho una grandissima umanità. Mio padre era una persona buonissima, dolcissima, ed è grazie a lui che siamo riusciti ad amare questo mestiere. Purtroppo ho avuto la sfortuna di perderlo presto, a otto anni, e quindi non ho avuto modo di crescere con lui, e questa è una cosa terrificante. Ho dei ricordi bellissimi, come il mio primo studio di doppiaggio, fatto con lui e con Cigoli – che tutti voi ricorderete come la voce di John Wayne.
Si.
Cigoli era il direttore del doppiaggio, e mio padre mi chiese. «Vuoi fare questa bambina, amore, te la senti?» Mi fece salire su una sedia, perché ero piccolissima, ed iniziò così la mia futura escalation come futura doppiatrice.
Ritorniamo sull’aspetto simpatico di questa professione. Anche con tanti personaggi che hai interpretato, umani e immaginari, ce n’è ancora uno a cui vorresti dare la voce?
Sicuramente no, perché dopo 38 anni di duro lavoro quotidiano, con un lavoro medio di almeno 6 ore al giorno, penso di aver doppiato veramente qualsiasi cosa, qualsiasi tipo di voce strana. Soprattutto nei cartoni animati: dal coniglietto, al carciofo, alla carota, alla giraffa… ora sto doppiando un coccodrillo femmina che canta benissimo, fa delle canzoni straordinarie… e poi i Simpson, i baby Looney Tooms, le Superchicche. Duemila serie, duemila attrici, onestamente sono appagata. Mi piacerebbe, dopo vent’anni di congelamento dovuti alla mia vita privata, tornare a fare qualcosa in video. Ho fatto di recente un film con mio fratello, per il cinema, “Sette chilometri da Gerusalemme”. Facevo una parte molto bella, piccola ma intensa. E poi, proprio la settimana scorsa, una puntata da protagonista di “Carabinieri”. Mi piacerebbe, ecco, stare in video, perché per quanto riguarda il doppiaggio credo veramente di aver esaudito tutti i miei desideri.
Quanto c’è di Lisa Simpson in Monica Ward?
[imitando Lisa Simpson] Tanto! Ti dico solo che io parlo quotidianamente così! Io ho due figli, Alessandro e Federico, che sono grandi, e già molto prima di iniziare i Simpson io parlavo così con gli amici, con i miei genitori… [tornando alla sua voce] fa parte di me! Tra l’altro quest’anno c’è stata tutta una problematica sul contratto, abbiamo rischiato di essere sostituiti. Mi piacerebbe pensare che, se ci levassero questi personaggi che ormai facciamo da quasi vent’anni, al pubblico non piacerebbe perché ormai si è abituato a quei caratteri. La realtà è che io non doppio Lisa: è lei che doppia me. [imitando Lisa] Perché in realtà Lisa sono io!
Ormai esiste un feedback unico.
Infatti fino ad oggi è l’unica attrice che non mi hanno mai tolto. Sono diciotto anni che facciamo questa serie…
In chiusura del nostro incontro: una voce così famosa sarà sicuramente incappata, nei discorsi tra amici, a fare scherzi telefonici.
Sì, infatti.
É un classico. Monica, ti ringrazio per la disponibilità e ti auguro un futuro in ascesa, anche più di adesso.
Grazie, grazie di cuore, anche di avermi tenuta presente per quest’intervista.
Alla prossima, ciao Monica!
Alla prossima, ciao! Grazie, grazie ancora!
Ascolta intervista audio.