Una personalità come poche che innamorata della musica la esprime con passione e fantasie.
Ha intrapreso gli studi di soprano, nonostante amasse il rock, per meglio impostare e calibrare la propria voce, ha interpretato in cover quell’indimenticabile sound della Motown Records che negli anni ’60 coinvolse i giovani americani per sbarcare in dopo poco in quella che si sarebbe chiamata Europa.
Durante questo percorso, rigorosamente in musica, ha anche fatto la vee-jay. Con la band Chiara & Gliscuri ha identificato il proprio stile per il rocksteady, reinterpretando dalle icone della Giamaicani al pop di Madonna al rock di Metallica ed Ac/Dc. Insieme ai Franziska, interessante realtà reggae nostrana al pari di band come Sud Sound System, ha portato avanti un tour europeo. Non per ultimo, il regista Ferzan Ozpetek, attento selezionatore di musiche per i propri lavori, decide di inserire nel suo ultimo Mine Vaganti il singolo 50mila estratto dal nuovo lavoro di questa interessante artista.
Al microfono di Patrizio Longo incontriamo Maria Chiara Fraschetta, in arte Nina Zilli, per raccontare di questa passione per la musica che l’ha vista anche protagonista alla passata edizione del Festival di Sanremo. Bentrovata Nina!
Grazie, ciao Patrizio!
Nel tuo nome si legge anche un tributo alla passione verso la musica Soul?
Certo, a Nina Simone, che è più jazz. Oltre ad essere la grandissima artista che il mondo conosce, è una donna che sa quello che vuole. È una guerriera che ha combattuto per tutto, nella sua vita. Era nera e donna in un mondo di maschi bianchi, per cui non ha neanche potuto diventare grande quanto avrebbe meritato. Pensa che per lei il jazz è stato un ripiego. Ha lottato per le donne, per la parità dei diritti, anche quelli della comunità afro-americana. È un grande esempio da seguire: le donne sono sempre bistrattate, oggi più che mai.
Un commento a Sanremo, dove hai proposto il brano: L’Uomo che Amava le Donne. Una bella avventura?
Bellissima, la rifarei… anche se non ho vinto. Portarmi a casa la palma con il leoncino sarebbe stato il top, però ho “rapinato” tutti i premi della critica. È una grandissima soddisfazione, e suonare su quel palco è stato il realizzarsi del sogno di una bambina. Da piccola guardavo il Festival seduta sul divano, con i miei genitori, e dicevo: «Anch’io voglio andare a cantare là!» Ovviamente loro mi accarezzavano la testa dicendo: «Certo, certo.» (ride) In definitiva, sono molto soddisfatta.
Una musica fatta da passioni, ma quali sono le tue altre passioni?
Sicuramente il cinema. Ne L’Uomo che Amava le Donne c’è un grosso omaggio a Truffaut. Poi i bulldog, tutti i cani in generale e i molossi in particolare. Io ho un bulldog vecchissimo, un matusalemme che ha più di dieci anni. E sono una snowboard incallita.
Hai raffinato la voce studiando da soprano, questo ti ha permesso una migliore impostazione nel canto?
Sicuramente. Ero molto piccola quando ho deciso di provare, anche se frequentavo già il conservatorio per studiare pianoforte. La passione per il canto mi ha spinto ad iscrivermi anche a quel corso, che era canto lirico, classico. Poi ho smesso, perché era troppo lontano da me, non mi piaceva, non mi divertiva. Ora, io credo che sia possibile avere un talento naturale per il canto: l’artista che canta tanto può arrivare a capire, senza prendere lezioni, i meccanismi della respirazione, dei tempi, del diaframma… Però l’impostazione lirica è tutto un altro mondo, e mi ha aiutato tanto.
Cosa ricordi del periodo in cui eri una vee-jay?
Mi ricordo un po’ di telefonate di video dediche, quando ero ad MTV, ma molto poche, perché poi ho fatto subito il Roxy Bar con Red Ronnie. Di quell’esperienza ricordo dei grandissimi artisti, ed il timore reverenziale che provavo per i grandi della musica italiana ed internazionale. Quando ti trovi ad intervistare Pete Townshend e sei una “sbarba” di diciotto anni, un po’ te la fai sotto, no? È pur sempre il cantante degli Who!
Sei autrice dei brani, come nasce una canzone?
Non so dirtelo con precisione. Per quel che riguarda il testo, magari ho gli spunti di cose che ho vissuto o che ho visto vivere a miei amici, sotto i miei occhi. Basta anche qualcosa in TV: il brano di Sanremo è nato mentre facevo zapping ed ero annoiata, e son capitata davanti al film di Truffaut che dà il titolo alla canzone. L’ho visto iniziare e mi son detta: «Uh, che bello, come me lo riguardo!» Poi, mentre lo guardavo, ho pensato: «Beh, ho la mia chitarra e il mio taccuino proprio qui di fianco a me…» E lì ho scritto la canzone. Quindi non è che uno ci pensa: lo spunto arriva all’improvviso. Anche se magari a volte si tratta solo di frasi che uno si appunta per utilizzarle in canzoni scritte uno o due anni più tardi.
Un tour anche con i Franziska, un’interessante band italiana, come ti ritrovi in quell’avventura?
Molto bene, anche perché la musica jamaicana è uno dei miei più grandi amori. E poi Jeeba, che era il produttore dei Franziska, arriva dai Reggae National Tickets, quindi di esperienza ne ha parecchia. È stata un’esperienza molto divertente. E poi eravamo in dieci, tantissimi, quindi era più una questione di amicizia, e quando siamo sul palco ci divertiamo. Abbiamo anche vinto il Rototom Sunsplash, come miglior band reggae europea emergente. Abbiamo fatto il tour in tutti i più grossi festival reggae d’Europa. Non sto neanche a dirtelo… una figata pazzesca.
Adesso raccontiamo di Sempre Lontano, il tuo primo album , come lo descrivi?
Dentro ci sono tutti i miei amori più grandi. Tantissimi spunti sono stati presi dalla musica di una volta, dal soul, dal primo pop. Dal soul della Motown Record e della Shout!, da Otis Redding ai Temptation, a Etta James… ci sono tutti i generi musicali della mia vita, inclusa tantissima musica jamaicana. Il reggae in No Pressure e in Penelope. E poi… scrivo io, arrangio io… diciamo che sono io dalla A alla Z.
Nel cd anche il singolo 50mila che il regista Ferzan Ozpetek ha scelto per Mine Vaganti, il suo ultimo lavoro. Com’è stato l’incontro?
Purtroppo l’ho incontrato solo ultimamente, sia per visionare il film che per la rassegna stampa. Lui è una persona splendida, indipendentemente dall’aver scelto la mia canzone. Lo amavo già come regista, perché ha un occhio molto sensibile. Con Le fate ignoranti mi sono proprio innamorata di lui, ed è a lui che devo, in parte, il mio amore per il cinema. Tra l’altro l’ho saputo da Facebook: la discografica non mi aveva anticipato nulla per non farmi rimanere male nel caso le cose non fossero andate a buon fine, e uno degli attori mi ha mandato un messaggino dicendo: «Oh che bello, tramite il nuovo film di Ferzan ho conosciuto la tua musica.» E lì mi è preso il collasso, perché, come puoi immaginare, quanti registi di nome Ferzan ci saranno mai in Italia? Mi sarei aspettata di tutto, ma non di essere la colonna sonora di un film. Infatti il sorriso più grande mi è venuto quando mi hanno mandato il trailer via mail… veramente, senza parole.
Cosa rispondi a chi ascoltando il singolo 50mila parla di plagio della canzone di Morandi – La Fisarmonica?
Io penso che la gente debba sturarsi per bene le orecchie. Al momento non mi sovviene nemmeno, La Fisarmonica, quindi direi proprio di no.
Grazie Nina per la disponibilità. Ci salutiamo con il riff di 50mila?
Ma certo, assolutamente sì (canta). Ciao a tutti, da Nina Zilli. Ciao! Ascolta intervista audio a Nina Zilli.
Foto: Archivio Universal
Seguo Nina Zilli dai suoi
Seguo Nina Zilli dai suoi esordi e non posso che confermare che la sua voce è andata sempre più perfezionandosi fino a diventare quel talento magico che ha sempre dimostrato di essere.