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Al microfono di Patrizio Longo incontriamo sul palco del Premio Barocco, per ricevere il riconoscimento ai 50 anni di carriera assegnatoli dal Comune di Lecce, Peppino di Capri. Icona della musica da pianobar tra sonorità le partenopee e le influenze di matrice anglosassone.

Numerose le canzoni che hanno fatto innamorare intere generazioni e continuano a farlo da “Champagne” a “Roberta” per non dimenticare “Luna Caprese.

Al microfono di Patrizio Longo, incontriamo con grande piacere Peppino di Capri, qui a Lecce.

Salve a tutti!

Patrizio Longo intervista a Peppino di Capri al Premio Barocco 2007

Un importante riconoscimento, quello datole dal Premio Barocco. Un riconoscimento ad uno dei maestri della musica italiana, che festeggia i cinquant’anni di carriera e che con tante canzoni ha fatto innamorare intere generazioni?

Ahimè… no, mi fa piacere, e poi Lecce per me è sempre stata una seconda Napoli. Quando vengo qui non ho mai problemi a cantare quelle mie cose in napoletano, perché le capiscono. Sono sempre stato molto amato, mi hanno sempre chiamato in tutte le occasioni. Per me essere qui è quasi giocare in casa. É un doppio piacere che il riconoscimento datomi a Lecce sia anche la prima tappa del cinquantenario della mia carriera. Siccome sono molto fiscale in queste cose, dico sempre che i cinquant’anni ricorrono dal giorno dell’uscita del mio primo disco, che è avvenuta a fine ottobre. “Malatìa” e “Nun è peccato”, nel lontano 1958. É in quella fascia di giorni che penso di festeggiare, anche televisivamente, questa ricorrenza. Però questa sera, questa anticipazione, è una cosa graditissima.

Mi viene spontaneo annoverarla tra gli sperimentatori della musica. É stato uno dei primi a sperimentare la musica napoletana, di matrice partenopea, con le influenze anglosassoni arrivate proprio con le basi americane che c’erano a Napoli?

All’epoca non si programmavano queste cose. Oggi magari ti metti alla scrivania e butti giù il programma dei prossimi sei anni, o sei mesi, ma allora erano tutte cose spontanee. Mi son trovato a cantare queste cose terzinate, rockeggianti, perché forse era la mia matrice a livello inconscio, perché venivo da quell’estrazione. A Capri da bambino respiravo gli americani perché erano nell’isola. Suonavo il pianoforte sin da bambino, mi chiamavano “enfant prodige” perché a quattro anni suonavo le canzonette americane per questo mitico generale Clark. É una cosa che mi sono portato dentro: ho studiato sei anni di musica classica, finché non mi hanno cacciato. Hanno scoperto che dopo le lezioni, di notte, suonavo nei night dell’isola.

Inevitabilmente, nel momento in cui ho inciso il mio primo disco mi sono trovato ad arrangiare e ad adattare in quel modo.

Quanto è cambiata la musica italiana dagli anni ’60 – ’70 ad oggi, a suo avviso?

La musica viaggia nel tempo che vivi, nel momento storico-culturale che stai vivendo. Sembra tutto abbastanza in sintonia… il linguaggio degli autori negli anni ’50 – ’60, quando ho cominciato io, era tutto “cuore, amore” e giù di lì, insomma. poi son venuti fuori i temi sociali, e le frasi molto azzardate, che non erano cantabili allora: «Ma no, ma che brutta questa parola…». Oggi magari la metti in tutte le canzoni e nessuno ti dice niente. É tutto legato al tempo che avanza, e quindi è giusto così. E così anche il tema musicale, che allora erano quattro accordi, e comunque se avevi un pizzico di originalità nella timbrica vocale facevi successo. Non era la canzone ad essere protagonista. poi la canzone c’ha messo il suo, perché alcuni brani sono stati cantati per anni, lasciando una traccia profonda e rimanendo sempre verdi nel tempo. Nel mio caso parlo, ad esempio, di “Nun è peccato”, “Champagne”, “La Roberta”. Oggi le canto ancora, la gente le conosce e quindi le apprezza.

Purtroppo oggi, però, la musica è molto usa e getta, e quindi si costruiscono canzoni che devono durare tre mesi. Perché poi ci deve essere il ricambio, perché ci sono i giovani da lanciare… É tutto più programmato, a discapito di qualcosa di più artistico, di più radicato, più profondo, che c’era in passato. Questo è il mio modestissimo parere, che magari conterà poco o niente, ma la domanda era rivolta a me… e la mia risposta è questa! (ride).

Si parlava di grandi canzoni, di grandi successi come “Champagne”, “Luna caprese”, “Per non dimenticare”, le due premiazioni al Festival di Sanremo del ’73 e del ’76. Ritornerebbe sul palcoscenico dell’Ariston?

Ci ho provato anche quest’anno, adesso lo posso confidare. Non l’ho detto a nessuno… É uno scoop!

Esatto! Il brano che sto lanciando in questi giorni, l’avevo preparato per Sanremo. L’avevo fatto sentire a Baudo, che mi aveva invitato a presentarlo al festival, solo che all’ultimo momento ci ho ripensato: c’era la fiction “Capri” in arrivo, e ho ritenuto opportuno tenerla da parte come possibile sigla. Nello sbaglio è stato un bene, tant’è vero che quando sentii l’annuncio: «Poi sarà qui a festeggiare i suoi cinquant’anni di carriera…» credevo che stessero per fare il mio nome, e invece era quello di Little Tony. (ride) Non sapevo che avesse raggiunto anche lui i cinquant’anni di carriera, l’ho scoperto in quell’occasione e mi fa molto piacere.

Ringraziamo Peppino Di Capri per la disponibilità è in bocca al lupo per tutto?

Grazie, siete stati carinissimi, un saluto a tutti quelli che ascolteranno questo mini-messaggio musicale.

Ciao da Peppino di Capri!

Ascolta intervista a Peppino Di Capri.

Foto a Peppino di Capri

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