Un compito arduo quello di Vittorio SABELLI e della sua R-Evolution Band la rilettura di The Wall, album che racchiude tutta la sofferenza e la cruda realtà del genio di Roger Waters e che sancisce un quasi-addio dai Pink Floyd. Incontriamo Vittorio per raccontare di questo lavoro: The Dark Side Of The Wall 1979-2013. Bentrovato Vittorio. La scelta di questo album, per alcuni aspetti un lavoro di svolta della band è stata casuale o voluta?
Dopo i primi due album One Way e Versus composti da brani miei originali avevo in mente di cambiare approccio sia compositivo che dal punto di vista dell’arrangiamento, e il manomettere qualcosa di ‘grande’ era un’idea che avevo da molti anni ma che non avevo mai potuto mettere in pratica. Finalmente con l’assestamento della R-Evolution Band e l’apporto di diversi musicisti ospiti sono riuscito a lavorare intensamente a quello che sarebbe diventato l’alter ego e/o l’anti-tributo a The Wall.
Avete ridisegnato completamente il lavoro seguendo quale schema?
Tutti i 26 brani (originali e non) seguono l’ordine della setlist originale e sono stati dapprima destrutturati e poi ricostruiti e accomunati da un filo conduttore, senza il quale il lavoro sarebbe risultato slegato e poco accattivante per l’ascoltatore. Ogni brano è stato pensato in funzione del precedente e del successivo in maniera da rendere il progetto una sorta di suite che andrebbe ascoltata come un’unica grande traccia.
La scelta di una linea sonora minimalista e un po’ cupa è stata voluta nonostante le infiltrazioni di puro hard-rock?
Non ho seguito uno schema preciso, piuttosto ho lasciato andare la mente verso mondi che si discostassero da quelli pensati da Waters 35 anni fa, e il risultato è stato un frullatore di generi apparentemente lontani tra loro. Alcuni brani riescono ad avvicinare l’ascoltatore in maniera (quasi) fedele agli originali, ma altri portano la mente a cercare melodie, armonie e timbri in luoghi completamente diversi. Le atmosfere sono cupe nell’originale, ma nel nostro ci sono diverse aperture positive (Run Like Bells, The Show Must Go Latin, Mother). Empty Space è nel mio piccolo una sorta di 4’33” di John Cage e qualche altro elemento minimalista si trova soprattutto nella seconda parte; ma questi momenti fanno da contrasto a quelli che sono i brani più ‘cattivi’ del disco, Another Brick In The Wall pt.2 in versione Hardcore che sfocia in un duetto tra sax e batteria e The Trial impregnato di un Doom Metal dai contorni sinistri, nel quale il tema principale viene messo a dura prova nella battaglia cacofonica finale.
Quando si rende tributo ad una band si rischia di non essere apprezzati, non per la scarsità del lavoro ma per una sorta di immaginario collettivo che riporta l’ascoltatore alla versione originale non permettendo l’apprezzamento della cover, a volte molto più interessante. É accaduto anche a voi?
Sin dal momento in cui ho messo giù la prima nota di questo ambizioso progetto ho pensato che, qualora l’avessi portato a termine, non sarebbe stato visto di buon occhio dai fan(atici) dei Pink Floyd, se non altro perché nessuno si sarebbe aspettato di trovarsi di fronte un’integrale di The Wall completamente stravolto, cosa mai fatta prima. Il mio percorso musicale mi ha portato a sperimentare e ad aver a che fare con i generi più disparati e vista la lunghezza e la complessità di The Wall non potevo che mettere in campo tutte le risorse a mia disposizione. Immagino che servano una certa apertura e curiosità verso l’approccio nel modo giusto per un progetto così innovativo, diversamente meglio tornare a rivolgersi a una delle tante cover di The Wall. Deve dire pero’ che sto notando con piacere che c’è una buona ricettività anche da parte di molti seguaci dei Pink Floyd.
R-Evolution è legato in un certo senso alla “rivoluzione” sul lavoro?
L’idea R-Evolution Band nasce dalla necessità di rompere i soliti schemi che rendono statico il flusso musicale e servono per creare un ascolto “facile” ma allo stesso tempo ancorato al passato. Con questo non voglio dire che siamo degli innovatori ma solo che cerchiamo di metterci dal lato più scomodo della bilancia, quello che cerca di proporre al pubblico nuovo materiale e nuovi colori, sperando che col tempo questo doppio gioco di Evoluzione e Rivoluzione ci dia ragione.
Parlando di riscontri ne ricevete di più dalla scena internazionale, spesso più propensa al rock estremo?
Ricollegandomi alla domanda precedente è naturale che fuori dall’Italia ci sia più curiosità nei confronti di progetti come il nostro; d’altronde non è un caso che la musica rifletta la società, le idee, la politica e tutto ciò che passa in radio e in televisione. Tutto old, tutto vecchio, nessuna novità, canzoni tutte uguali, sembra ci sia una certa necessità di tenere tutto al proprio posto, quindi anche l’ascolto di ‘cose’ già conosciute a memoria non può essere messo a repentaglio dal ‘rischio’ di musica nuova. Nel rock come nel jazz e nel pop è il vecchio che avanza. Invece dalle recensione e dagli apprezzamenti sul nostro lavoro che arrivano dall’estero si deduce che c’è propensione e curiosità per materiale nuovo. Il nostro è un discorso che continuerà a viaggiare sul proprio binario e sono convinto che prima o poi troverà la giusta via e le persone giuste che lo seguiranno anche in Italia.
State già pensando di rileggere, scomporre e ricomporre qualche altra pietra miliare?
Innanzitutto la promozione e la ricerca di un management per poter proporre live The Dark Side Of The Wall, e in contemporanea stiamo lavorando a un nuovo progetto originale, che assicuro sarà sorprendente e diverso da tutto quanto fatto fin ora. Dopo la full immersion di The Wall è necessario staccarsi per un periodo da lavori altrui, ma ci sono altre grandi band che meritano tutta la nostra attenzione e in futuro sarà senz’altro il loro turno.
Foto: www.r-evolutionband.com