La protagonista della sua vita è la musica “una folgorazione avuta da giovane”.
In occasione del Premio Barocco al microfono di Patrizio Longo incontriamo il maestro Renzo Arbore che ironicamente gioca con la parola “maestro” ricordando una riflessione dell’amico Vittorio Gamsan.
Un riferimento anche alla collezione di Arbore sugli oggetti in plastica conseguenza delle spiccate note creative che hanno portato lo showman a firmare anche una collezione di mobili da arredo “Miami Swing Renzo Arbore.”
In occasione del Premio Barocco 2008, al microfono di Patrizio Longo un gradito ritorno, quello del maestro Renzo Arbore.
Maestro di nome e di fatto! Quando mi chiamano maestro io metto mano alla pistola perché, come diceva il mio amico Vittorio Gassman: «Attenzione, quando ti chiamano “maestro”, perché vuol dire che sei sul pendio della discesa.» E invece non mi sento così, perché vengo da giri di grande successo con la mia orchestra, da un’attività frenetica – ancora la faccio, sia parlando di televisione, che di radio, eccetera – con la musica, che è la mia passione.
Volevo parlare della sua collezione di giocattoli, molto nota, composta soprattutto di oggetti di plastica. La sua vita è fatta di grandi passioni, e penso che la musica ne sia, forse, la protagonista?
La musica è protagonista di tutto. É la folgorazione che da giovanissimo ho avuto quando ho sentito le bande della mia città che seguivano le processioni, ed in seguito ascoltando gli artisti americani. Io sono di quella generazione che nell’infanzia ascoltava la musica americana uscire dalle finestre. E poi, la musica scoperta in giro per il mondo, la musica di tutto il mondo, quella è la mia passione principale. Anche la musica sconosciuta, che non ha successo, anche quella che è”in sonno”, come può esserlo quella messicana, di Capo Verde, di alcune tribù africane, eccetera…
Mi diverto a scoprirla ed a usarla per alimentare la mia personalità. Però ho anche altre passioni, come quella per il bello e per la fantasia, che ho cercato di portare in tutte le mie trasmissioni radiofoniche e televisive musicali. Che poi è quella che mi porta a collezionare i miei oggetti di plastica, perché con la plastica si è scatenata la fantasia dei designer. É anche la stessa passione che mi ha portato a lanciare una linea di mobili, “Miami Swing” by Renzo Arbore – regolarmente in internet – e che mi porta a fare collezione di cappelli, di gilet curiosi, originali. É quella che mi porta a collezionare anche giocattoli, gadget, curiose invenzioni inutili che gli americani hanno iniziato a fare dagli anni ’80, e che ora sono un po’ rari.
É una buona collezione, ma la più seria è quella di plastica: con la plastica sono stati fatti bellissimi oggetti, gioielli degli anni ’20 – ’30 italiani, radio che sono entrate nella storia del design, borse da donna, occhiali… Quella è una collezione seria.
Una vita da creativo, questo è l’elemento che ha caratterizzato e continua a caratterizzare la sua persona. Creatività e jazz esistono, hanno un forte link. Qualche tempo fa lei in una trasmissione televisiva ha affermato che i jazzisti sono coloro che improvvisano recitando senza copione. Come avviene questa cosa?
Quella è la magica invenzione del jazz, la rivoluzione della musica. Laddove la musica prevedeva brani da riproporsi uguali ad ogni esecuzione, il jazz ed il blues hanno scoperto l’improvvisazione totale. Da lì è nata la vera rivoluzione nella musica. Ha proliferato anche nel rock, che però non è musica improvvisata. Lo è solo un po’.
Il jazz, invece, è musica autenticamente, straordinariamente improvvisata.
Questa versione del jazz io l’ho adattata anche alle mie trasmissioni radiofoniche e televisive. La cosa che differenzia il genere di facciamo noi – Boncompagni, Frassica, i Discepoli, quelli di Alto Gradimento – è proprio il fatto che noi lavoriamo sull’improvvisazione, così come lavoravano i jazzisti.
Gli altri fanno pop, che è un ottima musica, “confezionata”, studiata, qualche volta recitata. Noi invece abbiamo scoperto… io per lo meno, come ha rivelato il critico Aldo Grasso… il jazz della parola, e con quello vado avanti. Come in questa intervista.
La sua scuola ha avuto un grande maestro, il Principe De Curtis, Totò. Quanto è stato importante questo incontro?
Io purtroppo non ho avuto modo di incontrarlo fisicamente, però l’ho avvicinato, pur essendo troppo timido, troppo intimidito per farlo. Ma è stato determinante: Totò ha fatto tutti i tipi di umorismo, è una summa di tutti i tipi di umorismo, non è soltanto “a prescindere”, ma è anche “uomini o caporali”, o “la serva serve”, il doppio senso. È anche l’ironia, “quel trombone di suo padre, lei si chiama trombetta”. Lo sfottò meridionale, il pinocchio dinoccolato che si muove per far ridere i bambini, il direttore di banca, l’autore di una canzone splendida come “La malafemmena”. Totò è il condensato del modo di far ridere italiano, veramente nostro, come con la sua mimica. ha segnato moltissimo la mia crescita. Inoltre, io ho sempre cercato di fare “l’altro”: l’altra musica, l’altra cosa, l’altro umorismo. E quindi, soprattutto ad alto gradimento, abbiamo inventato una maniera diversa di ridere che fosse completamente diversa anche da quella di Totò. Per cui era surreale, “crazy”, mutuata da un film che tutti hanno dimenticato che si chiamava “Hellzapoppin“, e che è stato il primo film che oggi definiremmo demenziale. Certamente un capolavoro del non-sense. E con quello, mescolato a tutto il resto, siamo andati avanti.
Io la ringrazio per la disponibilità, alla prossima!
Grazie tante a te, buon lavoro!
Ascolta intervista.