In una fredda serata invernale, in una tenda da circo ancora spoglia, incontriamo Richard Dorfmeister. Sono le 20.30, e come annunciato fervono i preparativi per il dj set firmato G-Stoned. Richard, sempre disponibile, risponde ad alcune domande che si ricollegano al precedente incontro di luglio 2005 quando era appena stato pubblicato il lavoro J.A.C.
Non sono cambiati molti aspetti e scelte musicali in Dorfmeister che da tempo ha intrapreso un percorso musicale spesso accompagnato da Rupert Huber dove alla base si trova un suono risultato del mix fra house, dub, jazz.
Nel precedente incontro si parlava di J.A.C. della sua nascita e delle collaborazioni stabilite. Siete ancora così aperti a collaborare con altri Artisti?
Certamente, abbiamo sempre lavorato con qualcuno ed in particolare nel progetto Tosca. Con Rupert sembra di essere come dei compagni di classe. È come una grande amicizia, talvolta non hai il bisogno di parlare ci si capisce al volo. È qualcosa che sicuramente ti fa sentire a tuo agio.
Alcune volte incontri persone, ci parli senza pensare a cosa dici, viene naturale. Ed è così il rapporto con Rupert, non è artificiale ma molto cool.
Cerco anche di lavorare con altra gente per cercare di avere nuove ispirazione perché non voglio diventare “come una band”, ovvero suonare sempre la stessa musica nei concerti. Voglio cambiare.
Cosa offrite ad un collaborazione e cosa attingete da essa?
Alcune persone non sono aperte alle collaborazioni è meglio se lavorano in proprio. Personalmente produco di più se lavoro con qualcuno. Inoltre ritengo che il lavorare con altri porti a raggiungere un livello superiore nel risultato.
Il lavorare da solo ti auto-limita sia dal punto di vista sociale vita che lavorativo.
Quando lavori con gli altri è come essere di fronte allo specchio… anzi è come il gioco del tennis: servi, mandi la palla oltre la rete, ricevi una risposta.
Se pratichi uno sport singolo come per esempio la corsa, puoi correre per molto, diventare forte ma sei comunque da solo. Ritengo sia meglio collaborare con gli altri che lavorare da soli.
Pensi di stabilire nuove collaborazioni come è avvenuto per J.A.C?
Abbiamo trascorso gli ultimi tre anni lavorando sull’album creando nuove tracce.
Quest’anno cercheremo di metterle insieme e stabilire nuove collaborazioni, trovare un concept per l’artwork. Ed abbiamo altre idee oltre la musica.
Ritengo ci sia una parte indipendente dalla musica, un’idea iniziale magari completamente illogica. Ogni nostro album ha una propria storia come per: Suzuki, Delhi 9, J.A.C.
Fino a quando non troverò l’equilibrio fra questi elementi non pubblicherò il nuovo lavoro.
Il progetto Tosca e Kruder & Dorfmeister hanno punti in comune?
Sì, abbiamo condiviso alcune esperienze. In origine la nostra idea era trovare qualcosa di nuovo rispetto alla dance e all’elettronica. Volevamo qualcosa che “non c’era”.
Abbiamo iniziato nel ’93 quando si suonava l’uptempo, la musica definita “estrema”. Volevamo provare a fare qualcosa di speciale, nuovo come il downtempo, in seguito divenuto fenomeno di moda.
Recentemente abbiamo notato un ritorno all’uptempo perché si è affascinati dai suoni del passato, diciamo dai corsi e ri-corsi storici.
Gli album del progetto Tosca sono sempre apprezzati nell’ascolto. Soprattutto in quei momenti in cui si torna dal club frastornati dal volume della musica.
Abbiamo sempre proposto qualcosa che puoi ascoltare di notte fonda, qualcosa di morbido e mai noioso, nei termini di downtempo-lounge molto inflazionata nell’ultimo periodo.
A tuo avviso quali sono i nuovi scenari europei, dove siamo diretti musicalmente parlando in questo 2008?
Questa è la classica domanda che mi viene posta ogni anno nuovo. Me l’hanno fatta per 15 anni.
La realtà è una lunga evoluzione, nata con la musica elettronica nel 86-87 quella di artisti come: Kraftwerk, Talking Heads, Brian Eno, per arrivare alla scena musicale house dei club di Chicago.
La musica, specialmente la dance-electro, si rinnova così rapidamente in quanto ci sono numerose produzioni e per questo motivo è difficile trovare dei lavori da definire classici.
C’è molta musica nuova, ma questo non significa che debba piacere al pubblico. Se suoni house e non vuoi vedere il pubblico abbandonare il club devi aver presente il concetto che va oltre il puro mettere tracce in sequenza, anche se sei il dj più d’avanguardia. Devi sentire come far muovere il pubblico, la giusta attenzione al momento giusto. Non esiste un metodo d’insegnamento, è qualcosa che senti in qualche modo.
Hai mai pensato di distribuire la musica esclusivamente su internet, come nel nuovo progetto di Radiohead? Come vedi questa possibilità?
I Radiohead non sono un buon esempio, a mio avviso. Sono diventati famosi grazie al “vecchio metodo” quello di pubblicare musica tramite etichette major, pubblicità ecc.
A molta gente non piacciono perché hanno offerto un download gratis in cambio di una quota libera, ma allo stesso tempo il campionamento era basso, credo intorno ai 160 kbps. A questo punto c’è da chiedersi: «È gratis o no?»
Ritengo sia stata una geniale operazione di marketing che non ha niente a che vedere con la musica copyright free.
Non mi sono mai piaciuti molto come band. Apprezzo di più Beck, ad esempio.
Il futuro è Internet. Io suono cd, ma tutti possono farlo. Se leggi una classifica redatta su un magazine musicale, puoi andare sul sito ascoltare le tracce e scaricarle. È grandioso!
Molto meglio rispetto al passato dove era più difficile reperire il dischi. Inoltre, dovevi andare nella giusta città e comprarli. Basti pensare che un vinile d’importazione costa 6 sterline.
Spendendo la stessa cifra su Internet, compro fino a cinque tracce, e posso ascoltarle e sceglierle liberamente.
traduzione Andrea Riezzo
adattamento Patrizio Longo
—
Ascolta intervista audio a Richard Dorfmeister.