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Rossana Casale guarda ad Est con il “Circo Immaginario” il suo ultimo lavoro. Ad osservare con attenzione i suoni provenienti dai Balcani e dei Paesi dell’Est, le musiche del tzigane miscelata con la sensualità del tango e delle milonghe argentine. Un pizzico di lirica della musica brasiliana e del buon swing.

In occasione della stagione teatrale LecceTeatro 2007-2008 con la partecipazione della Provincia di Lecce e dei Cantieri Teatrali Koreja incontriamo al nostro microfono Rossana Casale.

Ed eccoci qui al microfono di Extranet. Diamo il benvenuto a Rossana Casale, a Lecce per parlare, per rappresentare il suo “Circo Immaginario”.

Eccomi, sono qui.

Come potremmo definirlo, l’ennesima svolta artistica della tua vita?

Una svolta… non lo so. Sicuramente la cosa importante di questo lavoro, è com’è iniziato, nel senso che io sono stata ispirata da un libro – libro di Sara Cerri che si chiama “Circo immaginario” – e ho deciso di comporre delle musiche su questo libro. Per la prima volta da sola. Poi è entrato in collaborazione anche Andrea Zuppini, che ne ha curato anche tutti gli arrangiamenti. E… quindi per me è stata un’esperienza nuova, perché io non avevo mai iniziato un lavoro come compositrice da sola, ma sempre lavorando a quattro mani. La storia è emozionante, per cui io ho cercato di immergermi nei personaggi vari del libro e diventare loro. Parlare per loro. Poi, quello che noi facciamo in concerto è un’altra cosa, cioè andare alla radice del perché Sara Cerri ha voluto scrivere questo libro, perché è tanto affascinata – come me, che poi ho amato il suo libro – del circo, della vita del circo. Di questa vita vagabonda, del rischiare, dell’inventarsi, inventarsi un mestiere di artisti con una grande spinta nel creare e anche nel rischiare, no?

Questa è un po’ una metafora della vita, di tutti noi. E poi la voglia di rimanere bambini, la voglia di trovarlo quel mondo bambino che è dentro di noi e riportarlo poi, sicuramente attraverso l’arte, però poi anche nella vita. Perché poi è una scusa, è una grande scusa. Per cui, musicisti in costume, una bellissima scenografia di Francesco Scandagli (i costumi sono di Graziella Pera).

Mi sono avvalsa della collaborazione di Marco Posani per i testi, perché ci sono dei parlati, dei momenti dove io racconto, dei momenti… dove gioco, anche, col pubblico. E insomma mi mostro, un po’, come deve fare un giocoliere, no?

Cioè tenerli sul filo e… in tensione, farli pensare e poi anche poterli fare ridere, giocare con loro.

Così, divento una piccola circense anch’io.

Questa rappresentazione è un po’ anche il guardarsi dentro, il guardare l’aspetto più pulito del nostro essere. Quello che fa riferimento ad un bambino, ad un fanciullo?

Sì, perché la vita ci sporca. La vita ci… ci porta a dei compromessi, e noi non siamo mai veramente noi stessi. Mai, in nessuna occasione, né in amore né nella vita lavorativa. Dobbiamo sempre, in qualche modo, proporre un lato che affascini, che piaccia, che compri, che… Per cui, qualcosa di noi è sempre un po’ falsato.

Questo lavoro, che io ho portato in scena, chiede al pubblico per un attimo di poter essere tutti se stessi.

Per cui infatti all’inizio, quando faccio la presentazione, dico: «Eppure sarebbe così facile lasciarsi andare. Poi piangere, ridere, tanto laggiù nessuno ti vede.» Per cui, è un po’ una richiesta, e anche una denuncia di quanto siamo diventati finti tutti quanti.

In un certo qual modo, il “Circo immaginario” si lega al tuo precedente lavoro, che tra l’altro ha catturato tre anni di attenzione della tua vita. Faccio riferimento al jazz, e quindi anche poi all’incarnare, al riprendere il percorso di vita di Billie Holiday?

Più che incarnarla, la voglia di raccontarla, perché anche lei… il jazz un po’ fa questo tipo di percorsi. Infatti la prima cosa che ho pensato, quando ho letto il libro di Sara Cerri, questo “Circo immaginario”, è stato proprio quello: sentire quanto la vita del circense assomigli a quella del jazzista. Perché anche il jazzista ha questi momenti dove, su una base solida, che è poi la composizione del brano stesso, deve rischiare, deve lasciarsi andare… con grande tecnicità, poi. Però, anche affrontare l’abisso, in qualche maniera, per poi uscire fuori dall’altra parte… più lavati, più puliti. Ecco, cercare questo tipo di verità con il pubblico, e questo tipo di rischio, enorme, che vive un musicista tutte le sere. Anche nel dolore, anche nel toccare se stessi, nella parte più dolorosa. Il jazz ha… c’è molto jazz in questo lavoro pur non essendoci.

Cioè, esiste l’anima del jazz in tutto questo lavoro, proprio nella sua essenza più assoluta.

Parlavamo di essenze, e parlavamo quindi di sentimenti e di emozioni. Sicuramente nel tuo percorso artistico ti sarà capitato diverse volte di ricevere i complimenti da parte del pubblico. Volevo riprendere una tua affermazione di qualche tempo fa: è vero che un complimento equivale ad un’emozione?

Non mi ricordo di aver fatto questa, questa… di aver detto questa cosa. Però sì, siamo tutti alla ricerca di amore, no?

Vogliamo tutti in qualche modo essere gratificati, e dare un senso a tutto quello che facciamo… anche quando ci pare più banale o più ripetitivo.

Per cui sicuramente, sapere che alla fine di un lavoro, alla fine di una serata… come mi è capitato ieri sera, che una persona è venuta da me e m’ha detto: «Mi sono commossa.», cosa che non è mio volere, perché io non è che voglio fare piangere, voglio semplicemente creare un contatto vero – come dicevo prima – con questo lavoro… e ti fa piacere. Perché non vuol dire “sei stata brava”, vuol dire “ero con te”, ed è ancora più grande di un complimento, poi.

In quasi chiusura del nostro incontro, riprendiamo questo link con il jazz. Billie Holiday aveva fatto della propria filosofia, in musica, un credo. Ripreso anche poi, trasmesso, riflesso nella vita. Anche, secondo te, per i musicisti di oggi avviene lo stesso fenomeno, oppure è una cosa differente? Cioè, la musica e la vita viaggiano su due strade differenti?

Guarda è un discorso che richiederebbe un dibattito di ore. Penso che ci sia molta costruzione nella musica. Molta costruzione nella musica in questo momento.
Purtroppo siamo schiavi di un momento difficile, per cui ognuno arranca, stando dietro a certe regole delle radio, regole del marketing… Pur scoprendo poi, alla fine, nel lato negativo che poi diventa sempre positivo, che tanto non vende nessuno a parte quei tre nomi. E quindi non abbiamo niente da perdere e possiamo avere una possibilità in più per creare un nuovo momento della musica, un nuovo percorso.
Una rinascita, ecco, quello a cui io auspico e spero veramente succeda. Perché secondo me è un momento molto buio, molto piatto, molto… fatto di nulla.

Va bene il gioco, va bene giocare, va bene ballare, va bene divertirsi, va bene stare di poche parole… per un periodo. Poi dopo, però, bisogna veramente creare uno strato un po’ più… “spesso”, ecco. Ispessirsi un attimo nel pensiero e anche nella parola. I testi che vengono usati oggi nelle canzoni son veramente “piccoli”. Ed è difficile, perché anche noi che… io mi sento di far parte di quella persone che cercano sempre, ecco, però facciamo parte anche noi di questo non saper più parlare. Non usare più una terminologia… perché anche nei libri la terminologia è diventata più povera.

Per cui bisogna fare un lavoro triplo, perché tutto diventi più importante.

In fondo non è per dirsi: «Uh, come sono importante!» , non è per quello. È proprio per fare una vita meno povera. Fare una vita più… più ricca di tante cose, e per continuare in un’evoluzione. Perché sennò ci si inchioda tutti a un punto dove poi nasce una fine. Una fine e basta, dove non c’è più possibilità. Io sono positiva, comunque, nel senso che penso che siamo arrivato a un livello talmente basso (ride)… che da qui non si può altro che ripartire. Spero che diano voce a tutti quelli… perché, non so se a te capita, io viaggio su questo spazio virtuale, che si chiama MySpace, e ho conosciuto molti musicisti, tantissima gente giovane, bravissima. Che non ha un orecchio, non ha gente che l’ascolta.

Si, io, ma io non ho la possibilità di produrli, non ho una casa discografica. Spero che ci sia una nuova generazione anche nelle case discografiche, che ci sia un ricambio, gente nuova che abbia voglia di partecipare a questa nuova vita.

Perfetto, con questo bel pensiero salutiamo Rossana Casale. In bocca al lupo per tutto, e alla prossima.

Non si dice “in bocca al lupo”, non si dice “in bocca al lupo” (ride)… va bene, CREPI, questo lupo.

Ok, cosa si dice allora?

Eh, non posso dirlo! Si dice “m. m.”, va bene?

Ok, censuriamo tutto. Grazie, ciao!

Ascolta intervista audio.

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