Incontriamo Stefano Ianne compositore di musica classica per raccontare del nuovo lavoro “Elephant” fra classica e minimalismo.
Vive a Ravenna che fa da colonna sonora alla propria creatività. Ha avuto l’opportunità di suonare con maestri come Romano Mussolini di cui ricorda quando fu invitato a suonare durante le prove.
Sta per partire “l’Elephant Tour” e nel frattempo prepara il terzo lavoro.
Quali sono le “Variabili armoniche”?
Il titolo è ispirato al mio modo di fare musica: variazioni e micro-variazioni delle armonie dei vari elementi orchestrali che, unite e reiterate, portano l’ascoltatore ad uno stato d’animo particolare. L’insieme di questi elementi “armonici” si risolve in qualcosa di molto corposo che nel risultato finale si può definire addirittura melodico. Ecco perché la mia forma di minimalismo è un po’ diversa da quella tradizionalmente conosciuta come “l’esperienza americana”.
La tua musica esprime “un minimalismo come metafora del nostro tempo”. Un tempo inquieto?
Un tempo inquieto ed irrequieto ed anche avaro di nuove proposte ideologiche e filosofiche di un qualche fascino. Forse saranno le troppe distrazioni mediatiche? Troppe informazioni? (come diceva McLuhan) In un mondo così non hai riferimenti certi e ti senti più “solo” anche se sei in mezzo ad un sacco di gente. Poiché nessuno ti ascolta e invece tutti si propongono. C’è poco dialogo. E si fa anche fatica a ritrovare se stessi. Il mio percorso è stato molto sofferto. La mia musica proviene da una considerazione di questo tipo. Anche se poi tento sempre di redimermi, soprattutto nei “finali”.
I tuoi lavori, mi riferisco a “Variabili armoniche”, “Elephant” da poco in distribuzione e “Mondovisioni” in fase di pubblicazione, sono tutti realizzati da registrazioni live. Una scelta voluta?
“Variabili Armoniche” è un album registrato in studio, per sovrapposizioni. E per fortuna avevo a che fare con grandi professionisti diretti da un grande Valter Sivilotti. Negli altri casi ho optato per il live poiché, visto la propensione sinfonica della mia musica, è difficile per me trovarmi in uno studio con sessanta elementi tutti insieme contemporaneamente. E pertanto è una scelta obbligata. Non mi pare però che il risultato sia deludente. Anzi. C’è anche da dire che più elementi orchestrali ci sono nelle mie performance e meglio mi posso esprimere attingendo a quante iterazioni possibili mi vengano in mente. Sto pensando ad un prossimo concerto con 100 elementi.
Stefano Ianne in “Elephant” propone una traccia video. Quando un compositore di musica classica decide di orientarsi anche ai video?
Quando la sua musica risulta evocativa. A me piacerebbe non spiegare un bel niente della musica che compongo poiché non lo ritengo giusto. Ognuno può immaginare ciò che vuole quando ascolta un qualsiasi brano della mia produzione. Nel caso di “Elephant” ho fatto un eccezione ed ho voluto descrivere le mie “visioni” che, naturalmente non intendo spiegare a parole. Il video parla per se. Ho affidato alla creatività delle matite di Francesco Acquaviva ed alla regia di Francesco Zaffi questo lavoro che mi sembra riuscito molto bene nella descrizione di ciò che volevo esprimere. Se dopo averlo visto mi si chiede di “spiegarlo” si rischia di rendermi irritabile.
Sei considerato un compositore di musica classica contemporanea. Quanto sei in linea con Philip Glass, fra i principali riferimenti di questa corrente artistica?
In realtà sono considerato come Glass un minimalista ma ciò è vero a metà. Penso di essere un minimalista che, nello svolgere dei brani, diviene improvvisamente massimalista. E questo non è proprio ciò che fa Glass che mantiene una linea ben precisa. Vale lo stesso per Riley, Reich, Adams e La Monte Young. Qualcuno sostiene che forse gli europei come Nyman e Einaudi mi siano più vicini nell’intento. Ma ascoltando attentamente si capisce che siamo molto diversi. Diciamo che strizzo l’occhio a Glass ed al minimalismo ma non ne sono “vittima”.
Hai avuto l’opportunità di suonare con il maestro Romano Mussolini, quale il ricordo?
Era il 1992. Passammo qualche giorno assieme poiché lui faceva uno spettacolo al circolo Barnum di Asolo nella provincia di Treviso. Io curavo la regia. All’epoca suonavo il basso e lui mi invitò a più riprese ad accompagnarlo. Durante le prove spesso ci fermavamo. Io gli chiedevo di suo padre. E lui mi parlava con grande tenerezza di un padre come tanti altri. La sensazione che avevo era che quel ricordo era così difeso da Romano che mi sembrava quasi volesse in qualche modo normalizzare questa figura paterna così ingombrante. Ma erano suoi ricordi molto vivi e onesti. Ricordo Romano con grande affetto, un grande artista ed una persona buona.
Per quanto riguarda l’incontro con Antonella Ruggiero in riferimento al riconoscimento assegnatoli dall’Unicef cosa ricordi?
Valter Sivilotti mi ha fatto conoscere Antonella Ruggiero e Roberto Colombo, per me due partner straordinari, due seri professionisti. L’Unicef mi ha gentilmente chiesto se il mio concerto di Milano poteva essere considerata come l’occasione per premiare un’artista che loro tenevano d’occhio da un po’ per il suo impegno sociale. La cosa capitava proprio dopo “Canzone tra le guerre” presentata da Antonella a Sanremo due mesi prima. Ho risposto felicemente di sì.
Ravenna la città in cui vivi è la tua “colonna sonora” L’ambiente culturale pensi abbia influenzato le tue partiture?
Assolutamente no! Io ho sempre composto con le stesse emozioni in posti diversissimi, avendo viaggiato molto e vissuto in luoghi diversi. Al massimo posso dirti che forse l’insieme delle esperienze in ambienti culturali diversi può creare emozioni più complete, con lo stesso principio con il quale ho composto Variabili Armoniche. Non ti nascondo comunque che a Ravenna mi trovo molto bene, non tanto nell’ambiente della musica colta che conosco poco e che fa pochissimo per farsi conoscere, quanto per i pescatori che incontro a Marina di Ravenna.
Sei un autodidatta. Ci spieghi il tuo percorso?
Ho cominciato alla fine degli anni settanta, ascoltando i Beatles. I miei ascolti preferiti erano (e sono) Burt Bacharach e Pat Metheny. Non leggo la musica.
Paradossalmente è una fortuna. Infatti non sono stato influenzato da studi o metodi particolari. D’altra parte non sono un esecutore che deve leggere a prima vista. La musica su pentagramma non è altro che un modo universalmente conosciuto per ricordarti cosa hai appena composto ed oggi come oggi esistono modi informatici per “segnare” la musica molto più comodi della matita. E non è certo imparando a scrivere su pentagramma che la composizione viene migliore. Sono dell’opinione che il talento non si costruisca, esiste a priori. E l’ispirazione, la chiave di tutta la tua opera, non dura più di due minuti. Tutto il resto è contorno.
Parlando di “Elephant” fra poco partirà il tour cosa ti aspetti, la tua non è una musica diretta ma richiede un pubblico molto attento?
Non potrei mai esibirmi in un contesto nel quale la musica fa da tappezzeria. Mi aspetto un pubblico seduto, rivolto verso il palco, attento e “con le mani sopra il banco”. Scherzo! Però che non si mettano a parlare mentre suono….