Teresa De Sio un’icona della musica italiana. L’abbiamo incontrata in occasione della realizzazione insieme a Giovanni Lindo Ferretti di “CRAJ”. Un film che racconta del Sud, della tradizione popolare.
Come nasce il desiderio di tornare alle origini della cultura popolare per reinterpretarla?
Io nasco come musicista di musica popolare. La mia prima esperienza è stata in “Musica Nova” sono passati alcuni anni. Il mio primo impatto con la musica da musicista è stato grazie alla musica popolare. La mia vita da musicista si è formata attraverso questa esperienza. Se non ci fosse stato quest’incontro illuminante, soprattutto con quella del Sud perché io sono napoletana, non avrei deciso di lasciare che la musica entrasse nella mia vita.
La musica del Sud mi ha “convinta” che potevo mettere, quello che era considerato un talento musicale, a servizio degli altri della musica come linguaggio potente, divertente, coinvolgente. Senza copiare modelli proveniente dall’America o dalla musica leggere di consumo che non mi è mai interessato particolarmente.
Il progetto “CRAJ” possiamo definirlo come un sogno nel cassetto?
Non è mai stato un sogno nel cassetto. Preferisco avere dei progetti invece dei sogni. Cose che si possono realizzare e non idee che non trovano i giusti interlocutori o i tempi giusti. “Craj” è un sogno realizzato, nel senso che quando ho pensato a questo progetto ho considerato quante persone ed energie avrei dovuto coinvolgere. Quando si vuole coinvolgere una serie di personalità c’è sempre il rischio di non riuscire a stabilire una comunicazione. Per questo direi che è stato un sogno.
L’ho fatto durare poco in quanto ho avuto la capacità di convincere soprattuto i protagonisti di “Craj” che sono i grandi, vecchi della musica popolare pugliese. Sono Antonio Maccaroni e Antonio Piccininno dei cantori di Cartino che rappresentano la zona del Gargano quindi le tarantelle del nord della Puglia, Uccio Aloisi è il cantore del Salento della pizzica e delle musiche legate alla morsa della Taranta e il grande Matteo Salvatore che purtroppo ci ha lasciato da poco e che ha rappresentato il primo esempio di cantautore popolare. Negli anni ’50 è stato il primo esempio cercando di fondere la musica popolare pugliese, era di Foggia, e la canzone d’Autore la lingua della Poesia. Tre grandi personaggi che raccontano una terra interessante come la Puglia.
Lavorare con Giovanni Lindo Ferretti cosa ha significato?
Giovanni è uno spirito bizzarro, esprime un umanità ed una concezione della vita affascinante e complesse. A volte divergono con la mia visione della vita altre divergono. Laddove esiste una forte tensione spirituale, un’intelligenza, una personalità brillante come quella di Giovanni. Io sono portata a trovarmi bene. Ho sempre seguito i suoi lavori, benissimo…
Inoltre Giovanni ha condiviso la mia idea di spettacolo, il progetto lo ha sposato e a scritto insieme a me. Questa unione di forze ha dato frutti interessanti. Piacciono ad entrambi.
Cosa pensa di Internet come mezzo di comunicazione visto che il suo progetto ha come obbiettivo quello di portate la cultura popolare in giro fra differenti storie sociali?
Internet è tecnologia e tutti gli strumenti che mettono in contatto le persone sono interessanti. L’importante, credo di dover affermare e che la tecnologia rimanga sempre uno strumento con cui le persone s’interfacciano. Ritengo discutibile chi considera la stessa un contenuto senza il quale risulti impossibile pensare.
Gli esseri umani hanno prodotto per millenni civiltà senza l’uso di questa tecnologia quindi non deve essere interiorizzata non deve entrare a far parte della nostra essenza. Adoperata come strumento è fantastica, quindi penso tutto il bene in questa visione.
Hai avuto diverse collaborazioni tra cui Brian Eno (1998), cosa ha significato per te?
L’ho conosciuto in un momento in cui stavo sferzando nel mio personale percorso artistico. La nostra collaborazione è durata tre anni ed abbiamo prodotto due dischi.
Provenivo da un periodo in cui ho scritto in napoletano e suonato molto utilizzando le storie della tradizione napoletana, la mia terra. Viaggiando fra rock, folk e jazz. Numerosi i riconoscimenti avuti in questo percorso. Alla fine degli ’80 ho avvertito un desiderio di uscire da quelle che era diventato un clicke e di provare nuove forme di scrittura. Qui l’incontro con Brian Eno che ha dato vita a questa collaborazione ed ha inciso molto sulla mia carriera artistica. Abbiamo scritto “Africana“ (1985) e “Sindarella suite” (1988). Uno scambio importante in quanto siamo, sulla carta, due personaggi estremamente diversi. In questo periodo numerose le critiche rivolte dalla stampa. Si affermava:“Come una musicista calda e mediterranea possa collaborare con un anglosassone freddo ed intellettuale. Come possono collaborare?”. Non c’è stato nulla ne di freddo ne di intellettuale. Solo una grande divertimento ed una voglia di confrontarsi. Io con una velocità nella sperimentazione, insegnata da Eno e lui sulla mia velocità di produrre note con la voce. Mi diceva:”Non ho mai sentito una voce che produce in così tante note in poco tempo”. Abbiamo stabilito un rapporto umano molto bello e questo ci ha permesso di realizzare i lavori.
Quale messaggio secondo te ha intrinseco nel suo contesto la musica popolare. A cosa fa riferimento quando parla “musica ecologica”?
Noi viviamo in un mondo che è definito consumistico. Molte cose non servono ma noi le dobbiamo consumare malgrado non servano realmente. Questa inconsumabilità della materia consumistica (ride) e grande inquinatore del nostro tempo. Viviamo in una società che produce scorie perché la società non riesce a reciclare materiali non consumati fino in fondo, scorie tecnologiche e intellettuali. Mote ideologie e parte di pensiero non possono essere e non deve essere consumate, invece lo sono.
La musica popolare e tradizionale ci insegna che quando è legata alle radici, ad un’idea di funzionalità e di servilismo, nel senso che serve a qualcosa che ha un ciclo servile. Perché cantata nelle processioni, nei rituali di fertilità, di nascita, di morte, di matrimonio, di corteggiamento. Nei rituali legati al calendario come la mietitura, nei rituali per quello che riguarda la potentissima pizzica al morso della Taranta. La pischedelia di tipo popolare.
Questo ci insegna che il consumismo viene dribblato in questa musica perché musica che possiamo vivere, consumare fino in fondo. Musica che non inquina e non genera scorie.
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Ascolta intervista audio a Teresa De Sio.