Una musica per immagini, idee che si inseguono e si ripetono modificandosi ed evolvendosi, creando uno strato sonoro etereo e rarefatto, accogliente e rassicurante per poi incantarsi in loop e sperimentare. Questi sono The Star Pillow nel lavoro Fattore Ambientale, un progetto nato dall’idea di Paolo Monti e Federico Gerini che incontriamo per raccontare questo percorso. Bentrovato Paolo e buon ascolto. Ciao Patrizio, grazie per questa intervista. Ho pensato bene di chiamare anche Federico che è molto più ermetico e diplomatico di me nelle risposte. Quando una musica evoca immagini è l’espressione, forse più alta di quest’arte? Paolo: Personalmente è un’esigenza. Sono sempre stato molto “visivo”, nel senso che accedo a ricordi e sensazioni molto più velocemente con questo tipo di canale. Per me la musica è principalmente immagine, anche nel processo compositivo e melodico la vedo, quindi la sento interiormente. Dedicare un progetto e, nello specifico un disco, a questo tipo di sinestesia così personale, ha significato spogliarmi di tanti preconcetti e fare quello che mi fa stare bene e mi piace. Federico: Sicuramente la capacità evocativa e il fatto di coinvolgere non solo l’udito ma anche gli altri sensi è una delle potenzialità più sorprendenti e universali della musica, in ogni tempo e ad ogni latitudine. Siamo entrambi amanti del cinema e il riferimento a certe colonne sonore americane credo trapeli dalle tracce del disco, ma soprattutto quello che ci accomuna e che ci ha spinti l’uno verso l’altro in modo del tutto naturale credo sia il bisogno di ascoltare musica che crei una sorta di spazio interiore, un catalizzatore di sensazioni positive, terreno fertile per la nascita appunto di immagini, talvolta veri e propri film o viaggi interiori. Mi piace pensare alla nostra musica come alla colonna sonora di un film inesistente o immaginario. e ognuno ha il suo…. Paolo Monti e Federico Gerini sono The Star Pillow come si incontrano e dove nasce questo nome? Federico: Conosco Paolo dai tempi del Liceo quando era un punkettaro oltranzista e io uno studente di conservatorio. Iniziammo quasi subito, quattordicenni, a suonare insieme fondando una band, i Dionysia, con la quale oltre alle cover componevamo brani originali di genere progressive rock. Musicalmente le nostre strade poi si sono divise, fino al 2011 quando dopo due live improvvisati ci siamo messi a lavorare al disco Fattore Ambientale, capendo subito che fra noi c’era quella complementarietà di cui ognuno sentiva il bisogno per realizzare le proprie idee. Paolo: fino ad oggi ho suonato, composto e anche prodotto per P N S (progetto indie rock al secondo album). Con Star Pillow mi sono ritagliato la mia dimensione creativa ideale. Inizialmente è nato come side project per dare spazio al mio bisogno di creare e sperimentare senza vincoli di nessun tipo, tra cui anche quello delle parole (nei PNS scrivevo pure i testi). I primi due dischi li ho composti e prodotti da solo a casa, per il terzo volevo fare un lavoro di più ampio respiro e lavorare con qualcun altro sulla mia stessa linea espressiva. Non volevo infatti un turnista al piano, ma piuttosto ho ascoltato e stimolato molto la parte espressiva e comunicativa di Fede, scoprendo grandi doti compositive. Ah, il nome The Star Pillow, semplicemente perchè il cuscino l’ho sempre visto come un’interfaccia tra uomo e sogni, mentre le stelle mi rappresentano l’ignoto verso cui tendo. Inesorabilmente. Nelle vostre composizioni è ricorrente il tema del loop come sperimentazione. Quali sono i vostri ascolti? Paolo: Il looping per me non rappresenta sperimentazione, ma anche qua, un’esigenza. Spesso dal vivo utilizzo il looping per creare uno scenario sonoro su cui poi si costruisce tutta la nostra improvvisazione. Questo non te lo consente nient’altro,ma ripeto che per me rimane un paesaggio che influenza, rimane insomma sullo sfondo. Anche qua ritorna la tematica dell’importanza dello sfondo. Il live looping inteso come virtuosismo performativo mi risulta vuoto, privo di interesse e onestamente molto tamarro. Ascolto moltissime cose, disparate, da sempre. In questo periodo ho in loop in auto Radiance of shadows dei Nadja, Remain in light dei Talking Heads, If i could only remember my name di David Crosby, Kind of Blue di Davis (l’unico che ho sempre dietro insieme a In a silent way), Songs in the key of life di Stevie Wonder e the Fragile dei NIN. Federico: Non ho un grande background in fatto di musica elettronica, ambient o post-rock, ma sono stato sempre affascinato dal minimalismo di Steve Reich, Philip Glass e per altri versi quello di Michael Nyman, Ludovico Einaudi. Quindi un interesse per l’utilizzo di loop e ripetizioni sia ritmiche che melodiche, che, unito ad una certa staticità armonica, induce appunto quegli “stati” interiori sospesi e cangianti… Nel disco poi ci sono sicuramente molti elementi jazzistici riferibili alla nostra comune passione per il Miles Davis del periodo elettrico e un’idea di “crescendo” e di “intensità” tipica di certo post-rock. Dove la scelta di abolire qualsiasi suono prodotto da strumento per il suono artificiale? Paolo: In realtà in Fattore Ambientale gli strumenti sono tutti veri e suonati, sono però tutti elettrici o comunque trattati con effettistica. Le uniche cose “assemblate” sono alcune ritmiche elettroniche, ma non programmate (al contrario di “Non T’illudere” dove tutto è solo programmato e non c’è traccia di tocco umano). Federico: Personalmente avevo il bisogno di dare una veste elettronica, minimale e “fredda” a diverse bozze compositive che erano nel cassetto da anni. Paolo lavorava già da tempo con chitarre elettriche, effetti e laptop sviluppando Drone e pad elettronici “generativi”. Era implicito che lavorassimo solo con strumenti elettronici. Anche la voce che a tratti compare nel disco è pesantemente trattata con effetti. Cosa provi oggi quando riascolti il tuo primo lavoro Christmas Session (2009) dove esprimi la tua sintesi sonora per il tema Natale? Penso con molta onestà che sia la migliore produzione che ho mai fatto ad oggi. Mi emoziona moltissimo. Ogni tanto mi capita di riascoltarlo e quel che più mi emoziona, non sono tanto le composizioni, quanto quella sensazione che forse sono davvero riuscito a catturare nelle registrazioni, grazie anche agli amici che venivano a trovarmi e mi donavano i loro suoni. Lo stesso spirito del Natale che sentivo da bambino, che avevo perso e poi ritrovato con questo disco, che credo davvero essere magico, al di là del bello o brutto. Grazie a Paolo e Federico per il viaggio sonoro. Grazie a te Patrizio per la piacevole chiacchierata! Foto: archivio The Star Pillow