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La sua filosofia musicale ha sempre dato voce alla “musica indipendente”, un percorso che richiede prima di tutto indipendenza personale.

Dall’audace performance al Festival di Sanremo con gli Aeroplani Italiani, fino alla collaborazione con Radio DeeJay e le compilation “Bertallosophy”.

Al microfono di Patrizio LONGO incontriamo Alessio Bertallot. La tua “filosofia musicale” ha dato ampio spazio alla “musica indipendente”, per indicare quella al di fuori di determinati circuiti. La musica indipendente, lontana dai palinsesti e dalle alte rotazioni radio?

Si, fuori dal giro standard del sistema. Non c’è solo bianco e nero ma anche numerose sfumature di grigio.

Scrivi su Musica di Repubblica e con gli Aeroplani Italiani siete stati zitti per 30 secondi durante l’esibizione al Festival di Sanremo. Mossa audace quest’ultima…?

Sì, senz’altro.

Anche perché eravamo veramente gli ultimi arrivati e veramente poca gente credeva in quella scelta. In teoria avrebbe dovuto essere un segreto, ma il direttore della casa discografica (diversamente dal nostro produttore, Caterina Caselli, che invece ci sosteneva in questa scelta) mi chiamò mentre ero in trasmissione in diretta, ed io dovetti mettere un cosiddetto “disco lungo” mentre lui mi diceva che non avremmo dovuto fare “quella cosa lì”, perché “la gente avrebbe spento il televisore”.

Invece successe esattamente il contrario. Questo per dare una dimensione del clima che c’era attorno a quella scelta. Perché poter fare “musica indipendente” bisogna essere indipendenti come persone in primo luogo.

alessio-bertallot.jpg

Come hai proposto il tuo progetto a Radio DeeJay?

Linus mi intervistò nel suo programma, poi non ci vedemmo per qualche anno. Ad un certo punto lo chiamai io, perché avevo intenzione di fare delle cose in radio ma lo stesso pomeriggio che ci incontrammo e lui mi fece una proposta per il programma, ricevetti la conferma da parte di un’altra emittente che era interessata.

Allora Linus mi disse che non c’era problema e che ci saremmo sentiti dopo qualche mese dopo che io avessi finito il ciclo di trasmissioni con l’altra emittente. Alla fine l’idea era solo quella di fare un programma in cui io mettevo quella che a me sembrava “buona musica”.

Da lì poi le compilation, “Berthallosophy”, distribuite dalla V2?

Sì, la V2 è un’etichetta piccola ma internazionale e le dimensioni ridotte aiutano ad avere rapporti personali diretti con i collaboratori. Infatti le “Bertallosophy” sono anche il prodotto della nobiltà d’animo di Anna Magno, recentemente scomparsa, con cui ho collaborato per la realizzazione di quello che è il “raccolto stagionale” di ciò che è successo nell’ambito musicale di cui mi occupo.

Peer to peer e contenuti protetti dal copyright…?

Il discorso è molto complesso, la risposta può arrivare solo da un’analisi storica del periodo. Probabilmente i cittadini romani non si rendevano conto di vivere nel periodo imperiale od in quello della decadenza, perché l’arco della vita di ciascuno non basta ad abbracciare un periodo di tempo così ampio da permettere tali raffronti… Internet ed il tipo di comunicazione che è oggi è in atto sono di una portata tale che non è facile vederne gli effetti che produrranno.

E’ un cambiamento così profondo che quello che oggi noi vediamo come “peer to peer” è solo un aspetto di tutto questo, e la risposta che noi possiamo dare oggi è solo parziale.

Sicuramente è giusto che i musicisti possano vivere con il prodotto della propria creatività, ma è anche vero che del prezzo che l’utente paga per la loro musica su cd o vinile, all’artista arriva una percentuale molto ridotta (a parte gli anticipi stratosferici che solo gli artisti affermati possono osare chiedere).

Regolamentare un ambito come quello del “peer to peer” rischia di fare un favore al sistema dell’industria discografica più che andare incontro ai musicisti ed alla musica.


Ascolta intervista ad Alessio Bertallot.

Foto Articolo: Ufficio Stampa

Foto Copertina: Mick Haupt su Unsplash

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