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Populous inizia il suo percorso musicale come chitarrista e programmatore di sequencer MIDI. Con l’avvento della computer-music, il suo approccio al suono si trasforma grazie a software che rispecchiano la sua visione creativa.

L’album “Queue for Love”, pubblicato dalla tedesca Morr Music, mescola influenze jazz, soul e colonne sonore anni ’60/’70, riflettendo un ritorno alle radici sonore. Ha abbracciato collaborazioni con artisti come Dose One, valorizzando contaminazioni musicali. Da un background rock-noise, si è avvicinato a generi come hip hop, r’n’b e folk. Per lui, creare musica in casa è una scelta di indipendenza e filosofia DIY.

Come inizia Populous a sperimentare a lavorare il suono?

Populous comincia come chitarrista. Poi come programmatore di sequencer-midi rotti e ridicoli. L’avvento della “computer-music” ha rimesso in discussione tutto. Mi è bastato usare un paio di software per capire che era esattamente quello che stavo cercando.

Il nuovo lavoro “Queue for love” su Morr music la label tedesca di Thomas Morr. L’album è vicino alle influenze della atmosfere Jazz e Soul con riferimenti anche a colonne sonore anni 60/70.



Si è modificata la tua attitudine verso il suono elettronico?

In certo senso sì. Questo perché anche i miei ascolti e i miei gusti sono cambiati.
Ho smesso di sentire tutta quell’electronica fredda e glaciale e ho preferito un ritorno alle radici del suono. Così ho scoperto un interesse verso vecchie registrazioni di rock-psichedelico, soul, funk, reggae ecc. Questo anche perché credo che il modo in cui quei dischi siano stati registrati ha dell’incredibile.

La collaborazione ed amicizia che intercorre fra te e la band Studio Davoli ha influenzato la realizzazione di questo lavoro viste le infiltrazioni “pre-elettroniche” dei compositori italiani tra fine sessanta ed inizio anni settanta?

Ammetto di aver ascoltato molta musica elettronica degli albori, Raymond Scott su tutti. Anche molto Piccioni e Umiliani, adesso che ci penso… …e l’amicizia con gli studio davoli può essere senza dubbio collegata a questi ascolti, ma di base c’è anzitutto un rapporto umano. Sono delle belle persone con cui fa piacere parlare di musica, ma in pratica starei bene anche parlando di “niente”. Parliamo del tuo background musicale quali erano i tuoi primi ascolti, quelli che ti hanno dato una struttura….

Adesso cosa ascolti?

Ho un background di stampo rock, più o meno rumoroso. Considerando l’età non posso nascondere che la mia adolescenza è stata turbata dalla scena di Seattle e da tutto quel noise-rock di cult labels come touch and go, dischord e amphetamine reptile. Poi chiaramente ho cambiato, spostandomi su altre cose senza mai rinnegare il passato. Ora ad esempio ascolto tutt’altro: r’n’b, un sacco d’hip hop (anche old school), dischi stax e motown e poi folk, molto folk.

Intervista a Andrea Mangia Populous negli studi di Radio System con la regia dei Revox

Risulta evidente che nei tuoi lavori spesso sono presenti collaborazioni con persone amiche, è una casualità?

Visto che io ho una buona stima dei miei amici, collaborare mi sembrava una cosa abbastanza naturale. Sono state tutte ottime esperienze, da ripetere senz’altro. Andiamo fuori dal confine italiano. Diverse le collaborazioni internazionali con cui hai realizzato “Queue for love”. Come nasce la scelta di far cantare un brano con Dose One.
Non è possibile parlare di generi definiti ma di contaminazioni? “generei definiti” è un concetto che non m’è mai piaciuto. Mi considero una persona senza preconcetti, aperta a qualsiasi soluzione. Per cui ben vengano le contaminazioni e i rimodellamenti. Avere un guest come Dose nel disco è stato un vero onore, considerando quanto io ami i Clouddead e tutto quello che l’anticon records sta facendo per l’hip hop. Ricordo un disco ai primi del 1990 con l’avvento della house music recitava così “Music in the house”. I primi esperimenti di musica house (fatta in casa). Corsi e ricorsi storici….

A tuo avviso è tornata questa “moda” di realizzare i dischi in casa. Un problema di costi o di gusti?

Il fattore “moda” credo rappresenti solo una piccola percentuale. Per quanto mi riguarda è una necessità, non avendo a disposizione budget da spendere in studi di registrazione e stronzate da star. Poi, una volta appurato ciò, entra in gioco l’orgoglio di fare tutto con pochi mezzi, cioè la cara e vecchia filosofia del Do It Yourself. Hai collaborato alla realizzazione della bellissima raccolta Condominium edita dalla label napoletana Mousike Lab. Cosa pensi dell’idea di realizzare un condominio virtuale.

Apprezzeresti l’idea di vivere in un vero condominio abitato solo da Artisti?

I condomini virtuali in un certo senso esistono già, basti pensare a tutte le communities che ruotano attorno a determinati siti musicali o di arte in genere. Mentre l’idea di vivere in un vero condominio sarebbe invece terribile ed elettrizzate allo stesso tempo. Si sa che gli artisti sono strane persone, lunatiche, metereopatiche e quant’altro… ah ah.. Però è anche vero che sarebbe impareggiabile dal punto di vista culturale, una cosa veramente stimolante. Paragoni sonori e riflessioni. Un aggettivo per definire questi Artisti: Sigur Ros, Aphex Twin, Alva Noto, Telefon Tel Aviv, Sigur Ros: eterei. Aphex Twin: datato. Alva Noto: chirurgico. Telefon Tel Aviv: Newroots.

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