Sono tre musicisti che dopo aver percorso differenti indirizzi musicali hanno deciso di far confluire le proprie esperienze, dando vita ad un trio chiamato Octopus.
Una line up che si basa sulla regola: “di avere un suono compatto e meticcio” come affermano tre musicisti.
Incontriamo Reepo, voce e chitarra degli Octopus per raccontare di questo primo lavoro.
Il vostro primo lavoro, quello degli Octopus. Quanto avete lavorato su questo disco?
In senso lato lavoriamo su questo disco da 4 anni; ci è sempre piaciuto scendere in sala prove e lasciare libero sfogo alla nostra creatività con jam e improvvisazioni d’ogni sorta. Abbiamo, poi, tenuto quello che ci piaceva, arrangiandolo e curandone l’esposizione musicale, in modo naturale. Ogni brano richiede il suo tempo: abbiamo chiuso alcuni pezzi in una, massimo due prove; altri, invece, ci hanno portato via mesi di lavoro prima di soddisfare pienamente il nostro gusto.
In un senso più ristretto, i tempi di registrazione dell’EP non sono stati troppo lunghi; diciamo che abbiamo subito ritardi standard per una band che si autoproduce: purtroppo, per avere un prodotto finito di buon livello e per lavorare con persone competenti, spesso l’artista autoprodotto si deve accontentare di disponibilità last minute e (nel peggiore dei casi) di indisponibilità dell’ultimo momento.
Direi che a noi è, comunque, andata bene: siamo molto soddisfatti di questo EP!
Un’anticipazione di quello che sarà il vostro album?
Sicuramente è così che anche noi abbiamo pensato a questo lavoro: un’anticipazione! Gli Octopus hanno molto materiale, per così dire, già chiuso e molto altro in cantiere. Abbiamo sentito l’esigenza di pubblicare qualcosa: abbiamo scelto i brani che ci sembravano più adatti e li abbiamo incisi; questa è la nostra presentazione, con l’album saremo intenzionati davvero a lasciare il segno!!!
Oltretutto chi già ci conosce smetterà di minacciarci perché ancora non può infilare un CD degli Octopus nello stereo della macchina a tutto volume.
Affermate di avere una linea musicale dai tratti “compatti e meticci”. Una linea dove poter far confluire tutte le diverse esperienze acquisite?
Non so chi abbia usato queste parole ma mi piacciono.
Siamo un trio; ognuno di noi ha gusti ed esperienze personali diverse. In quello che facciamo questi gusti e queste esperienze si incontrano per dare vita ad una musica senza compromessi.
Credo che la chiave per capirci fino in fondo sia semplice: ci piace molto quello che facciamo, e lo facciamo in totale libertà; siamo liberi di far confluire le nostre influenze e dare spazio all’estro personale di ciascuno dei tre creando la musica che più ci rende felici.
Il groove e la miscela sonora che ci contraddistinguono sono solo un lato della compattezza di questo trio: ne sono insieme la causa e l’effetto.
Perché avete scelto di scrivere testi in inglese?
Ci piacerebbe suonare in ogni parte del mondo; l’inglese è la lingua migliore per essere capiti all’estero.
Non credo che per fare rock e funk sia necessario esprimersi in inglese, ma devo ammettere che la musicalità di questa lingua ben si adatta al genere; e la storia ce ne da conferma, no?
Quando avete deciso di rendere omaggio a Jimi Hendrix pubblicando la cover Crosstown Traffic, una registrazione live?
Adoriamo Hendrix! Crosstown Traffic è la prima e l’unica cover che abbiamo deciso di suonare dal vivo come Octopus.
Non abbiamo neanche vagliato l’ipotesi, abbiamo cominciato a suonarla e basta! Ne facciamo una versione riarrangiata e aggressiva, e non c’è stato live in cui non l’abbiamo suonata.
Era, quindi, in scaletta il giorno in cui abbiamo registrato il dvd live (Octopus Live 2008, in vendita ai concerti della band n.d.r.), e abbiamo deciso di inserirla nell’EP tra i brani live perché, nonostante non sia un pezzo originale, crediamo rappresenti molto del nostro modo di fare musica.
Non siete il primo esempio di band italiana che approda in America, riscuotendo successo. Come siete arrivi?
Ci interessava davvero molto interfacciarci con la realtà musicale americana, e il modo migliore era andare in loco e suonare in giro il più possibile!
Ci siamo accorti, poi, suonando sui palchi statunitensi che il pubblico gradiva molto il nostro modo di interpretare il genere.
Questo secondo tour, che abbiamo appena concluso (11 date nel mese di maggio), ci ha dato ulteriore riprova del fatto che con la giusta determinazione si può proporre a testa alta la nostra musica anche fuori dai confini italiani.
Una frase che ho sentito negli Stati Uniti mi ha fatto riflettere: “i musicisti Italiani o di origini italiane all’estero hanno fatto sempre molto bene… riescono però meglio come solisti! è difficile che una band italiana ce la faccia: siete meno capaci di suonare insieme, di essere parte di una band! Gli Inglesi, invece, sono da sempre stati i più bravi nella storia del rock a saper stare insieme e crescere come gruppo: sono un gradino sopra agli altri quando si tratta di capire il senso dell’appartenenza ad una band!”.
Penso che sia ora che i tempi cambino: in Italia non mancano i talenti, abbiamo per lo più un difetto di mentalità, di attitudine.
Crediamoci, quindi, e andiamo a spaccare il culo (si può dire?) in tutto il mondo!
Una domanda a Garrincha. Com’è stato abbandonare il progetto Le Vibrazioni?
So che Garrincha e Le Vibrazioni si sono lasciati in modo pacifico e onesto; molto spesso ci piace sentire che le storie d’amore finiscono con grossi litigi e dolore: beh, in questo caso non è stato così!
E il vostro incontro è stato casuale?
Conosco Garrincha dai tempi del liceo: lui faceva l’artistico, io il classico!
Eravamo in pochi a suonare a scuola, per cui diventare amici fu davvero inevitabile, da allora ci siamo sempre confrontati su musica e tutto il resto: è nata una grande amicizia!
Mr. Zed, poi, si è unito alla truppa quando ancora ci si trovava di notte con qualche “scappato di casa” per jammare fino al mattino.
Suonare insieme è stato magico dal primo momento: sono cose irrazionali, che senti con il cuore, non con la mente!
Nei diversi palchi quali differenze avere incontrato con il pubblico?
A noi piace suonare dovunque e comunque! Ciò detto, devo ammettere che il pubblico, a seconda della regione d’Italia, e soprattutto all’estero, ascolta il live in un modo diverso! In verità, aldilà degli assiomi tipo: “al sud la gente è più calda” …o “all’estero è tutta un’altra cosa!”, credo che a fare la differenza sia la cultura musicale del paese dove ti ritrovi a suonare: gli Stati Uniti, ad esempio, sono la patria del rock.
La musica rock, là, è davvero un fenomeno culturale e pertanto sa parlare alle masse; è chiaro che la gente venga al live per “sentire” il live! Il pubblico capisce più velocemente dove vuoi andare a parare…perché prima di te ne hanno visti mille. Se proponi musica autentica, nel modo giusto, c’è coinvolgimento già al secondo pezzo!
In Italia, forse, sappiamo meno come “reagire” al live…ma non per questo la musica arriva meno ai cuori della gente!
Info: Octopus Trio
foto: Alice Pedroletti