Di solito il nome di un gruppo è l’estrema sintesi di una linea musicale o di pensiero o entrambe. Nel vostro caso Elettronoir da dove nasce?
Dalle due caratteristiche portanti del nostro progetto. L’elettronica nella musica, la ricerca, ed il noir come nostra rilettura del neorealismo.
Mi sembra di capire che il cinema ha grande importanza per voi, “Dal Fronte dei Colpevoli” può essere considerata un’opera che oltre ad avere dimensione musicale ne ha anche una scenica, quasi un film?
Il nostro cd d’esordio è il primo capitolo di una trilogia. Una storia in musica che abbiamo voluto caratterizzare anche visivamente nell’immaginario dell’ascoltatore attraverso citazioni cinematografiche dirette. Ne “Il Fronte dei Colpevoli” s’incontrano Leone, Volontè, Petri e Truffaut, musiche originali per opere già scritte lungo un viaggio carico di emozioni.
Come si è evoluta nel tempo la concezione musicale degli Elettronoir?
Un’evoluzione piuttosto dinamica. Esistiamo da appena due anni e mezzo ed abbiamo all’attivo 30 concerti, un LP ed un EP di prossima pubblicazione. Suonano molto diversamente fra loro. Il concetto di base è lo stesso, ma l’approccio alla creazione ed all’esecuzione è molto cambiato. Mentre nel primo disco c’è un incontro di più personalità che si confrontano, nell’EP successivo queste si fondono e si fortificano molto. Lo stile è più definito, ma la ricerca speriamo non finisca mai.
Che rapporto avete con Internet. Vi aiuta nella fase di autopromozione. E’ una risorsa importante per le band emergenti?
Per noi è stato finora essenziale. Basti pensare che il disco è stato diffuso soprattutto grazie alla rete e gli incontri più interessanti sono partiti proprio da qui. Credo però che se non hai belle idee da promuovere lo strumento internet possa ritorcersi addirittura contro. La forza sta sempre nel contenuto.
Difficile definire gli Elettronoir con un genere, ma a quali artisti italiani o stranieri guardate?
Non ci siamo mai fissati su qualcuno o su qualche movimento musicale particolare. Procediamo come le formiche e cerchiamo di capire di cosa hanno bisogno le nostre canzoni per crescere ed avere senso.
Perché secondo voi è più difficile per una band emergente italiana darsi visibilità, rispetto ad una band emergente di un altro paese, ad esempio anglosassone?
Quando abbiamo creato –elettronoir- pensavo che la musica non interessasse poi tanto alle persone, almeno un certo tipo di musica. Invece l’affetto, la stima e le amicizie che nascono intorno al nostro progetto, mi hanno fatto capire che bisogna cominciare a ragionare sul perchè vi sia una visibilità negata. In Italia i personalismi vengono a forza imposti per diventare gusti di massa. Non credo ci siano fermenti migliori nel mondo anglosassone e peggiori in Italia. Non abbiamo artisti inferiori, anzi. Abbiamo poteri economici costituiti impermeabili e statici, quali televisioni e network radiofonici, che decidono chi o cosa passa. Mi piacerebbe vedere cosa succederebbe in Italia se una legge imponesse, nelle programmazioni artistiche varie, quote di indie a fronte dei prodotti major. Una variazione della legge sulla musica adottata in Francia a metà degli anni ’80.
Il live da qualche anno ha ripreso l’importanza che merita, anche per questioni di marketing, ma per una band emergente quanto è importante suonare dal vivo, soprattutto in concorsi che a volte possono essere un trampolino di lancio. Le vostre esperienze?
Ci siamo illusi per un po’ che i concorsi fossero vetrine importanti. Siamo stati finalisti di Rock Targato Italia 2005 e non è successo nulla, se non portare gente che voleva ascoltare –elettronoir-. Siamo stati utili noi a birrai di turno, in locali improbabili, a giurie annoiate, e organizzatori inesperti. Utili al loro compiacimento. Bugo, prima del nostro provino a Milano per le selezioni dell’Heineken Jammin’ Festival, ci disse:”Ragazzi, i concorsi non servono a nulla! Non li fate”. Oggi siamo della stessa opinione. Non perdete tempo ed energie. Ai gruppi servono risorse, di qualunque tipo. Questi concorsi squallidi distolgono le energie e a volte innescano catastrofi interne ai gruppi, anche irreversibili. Ma perché devo percorrere tanti km, mangiare e dormire a mie spese, esibirmi per venti/trenta minuti e tornare a casa con la prospettiva che, se va bene, vinco la registrazione di una demo? O per avere un contrattino discografico con la signora “poco o niente”? Sto a casa, miglioro la mia musica e faccio la demo con i soldi risparmiati. E la faccio ascoltare alle fanzine, ai locali, ai giornali ecc ecc. Meglio un live studentesco che un concorso qui in Italia.
I festival invece sono delle gran belle invenzioni. Dovrebbero essercene di più, ma con almeno il rimborso spese per chi te lo anima, e qui in Italia è merce rara!
Se vi fosse chiesto di comporre la colonna sonora di un film, con quale regista vi piacerebbe collaborare?
David Linch. Gli altri sono morti, altri ancora non sono ancora nati.
Da tempo i dischi si vendono con grande difficoltà, ma allo stesso tempo le nuove tecnologie permettono a perfetti sconosciuti di produrre musica anche in casa e di farsi poi “conoscere” on-line, come spiegate questo strano fenomeno da un lato di forte crisi ma dall’altro di forte democratizzazione della musica? Pensate che siano consequenziali?
Si è semplicemente aperta un’altra strada, parallela a quella tradizionale. Sfatiamo però un mito: i dischi fatti in casa fanno schifo. Secondo: i dischi belli vendono, e venderanno sempre, con qualunque mezzo. Un disco si fa con chi sa fare un disco e cioè: un produttore artistico adeguato al progetto, un fonico con un’alta preparazione ed i musicisti che sanno suonare e realizzare idee interessanti. L’industria discografica non vende perché propone progetti non credibili, ai quali alla lunga pure lei smette di crederci. A Lucio Dalla, ad es., prima di diventare Lucio Dalla, gli furono concessi sei LP, sei dischi che furono un fiasco, ma i manager Ricordi tanto credevano in lui che l’hanno fatto crescere e maturare per molto tempo. Oggi invece assimilano, comprano e sostengono il successo di chi già ha avuto sostanziale riscontro di critica e pubblico. Basti pensare a 99 Posse, Subsonica e Baustelle. Nati indie per i primi album, sostenuti e prodotti poi da major. E’ un po’ come una squadra di calcio che decide di non avere il vivaio e acquistare i fuoriclasse dalle altre squadre. Un fallimento dichiarato sulle proprie capacità manageriali. Se però anche nella musica questi fuoriclasse si facessero pagare oro, allora qualcuno dentro le major tornerebbe a metodi più logici per coltivare e non maltrattare quella che dovrebbe essere la vera protagonista: l’arte della musica. Artisti validi fanno bene a tutti!
I progetti futuri degli Elettronoir?
La pubblicazione dell’Ep –Elettronoir- 2006: un resoconto, un’istantanea di quello che siamo oggi, e provare a suonare il più possibile in giro.
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link www.elettronoir.it