Il nuovo lavoro di Bandadriatica s’intitola Maremoto. Un viaggio fra musica e paesaggi marittimi.

Incontriamo Claudio Prima per conoscere questo nuovo disco.

Maremoto è un disco incentrato sull’incontro?

L’arte dell’incontro ce l’ha insegnata, con pazienza, il mare.

Il tempo necessario a conoscersi, a capirsi, a parlarsi, è un tempo necessariamente lungo. Aver preso il mare e aver deciso di andare ad incontrare sull’altra sponda i nostri referenti stilistici e musicali è stata una scelta fondamentale per la genesi di questo disco. Incontrarsi musicalmente significa rimanere da soli uno di fronte all’altro con lo strumento nelle mani. Avere qualcosa da dire e da ascoltare, fare musica insieme per la prima volta. Sentire che c’è un solco comune nelle proprie parole e nelle proprie note. E volerlo seguire fino in fondo, perdersi e aiutarsi sulla strada del ritorno. Ogni brano di questo disco è figlio di un incontro. Tormentato, sensuale, necessario come ogni incontro, e come ogni moto del mare.Un cd e un dvd dal titolo Rotta per Otranto. Racconti di questo viaggio fra musica e paesaggi marittimi?

E’ stata un’esperienza fondamentale. Sentirsi come i marinai che hanno imparato a parlarsi sulle navi di un tempo, pur provenendo da sponde e culture profondamente diverse tra loro. Si sono trovati a dover convivere lontano dal proprio paese e hanno dovuto sviluppare per sopravvivere nuove lingue e nuovi modi di comunicare. A questi marinai ci siamo ispirati per tracciare la rotta di questo viaggio che tocca una Dubrovnik inaspettata, rinata in 10 anni dalle macerie di una guerra folle che l’aveva rasa al suolo. Dubrovnik che rinasce con tutte le sue storie da raccontare, le sue klapa (cori) di voci maschili antiche e profonde, Ivo Letunic e la sua lijerica che suona e canta insieme riportandoci alle origini della musica croata, Mateo Martinovic che risuona con il piano melodie che ci fanno capire che il nostro viaggio alla ricerca della musica adriatica sta toccando la sponda giusta. In Albania è diverso, Tirana ha una forza tutta in potenza, ti assale e ti stravolge. Durazzo invece è un porto commerciale quasi deserto e a noi non può che ricordare chi è partito da lì per donarsi alle nostre fortune, o a quelle del mare. E’ un porto pieno di malinconia e il nostro concerto nella Torre Veneziana ne è intimamente intriso. A Tirana e a Durazzo la chitarra di Bojken Lako riporta la tradizione albanese ad una dimensione ruvida e attuale e le grida della gente ci chiamano all’ordine. C’è una gran voglia di cominciare a ballare.

Un titolo provocatorio?

Una definizione letterale. Il movimento del mare come segno di rimescolamento e di rigenerazione, percezione concreta che abbiamo vissuto facendoci cullare o scuotere dalle onde, in navigazione. Questo disco è figlio di questa sensazione. Il primo “Contagio” era un disco fatto di suggestioni vissute a distanza, quest’ultimo vive di esperienze dirette, intessute sulla pelle. Il contagio avviene per contatto culturale, sotteso, il maremoto ti travolge, ti inonda di sensazioni che abbiamo cercato di tradurre in musica. E’ peraltro quest’ultimo un disco molto più movimentato del precedente, con ritmiche spinte e sonorità più dure a tratti rock, progressive. Sperimentale e inaspettato. Ma sempre con una storia da raccontare. Come quelle che si vivono o si apprendono in viaggio.

Quali le ragioni che vi hanno portato a rendere omaggio alla musica dell’Adriatico?

Abbiamo lavorato molto all’inizio sulle connessioni fra musica salentina e musica albanese tradizionale, con l’aiuto di Redi Hasa che veniva ad incontrarci direttamente da Tirana. Nel prosecuio di questo percorso di ricerca abbiamo esteso il raggio d’azione all’Adriatico, con l‘idea che le bande da una parte e le fanfare dall’altra potessero aver tenuto insieme, facendole arrivare in tutte le strade e in tutti i paesi, una tradizione musicale uniforme e fossero le schegge di un’esplosione originaria nella quale la musica adriatica si è frammentò nelle diverse forme musicali attuali. E’ stato uno spunto di ricerca interessante che continua ad affascinarci e a spingerci in questi territori di sperimentazione. Ma più che omaggiare il repertorio tradizionale noi ci occupiamo di stravolgerlo o di riscriverlo a nostro modo. La produzione della Bandriatica è quasi interamente originale nei testi e nelle musiche, la fonte d’ispirazione è invece rigorosamente adriatica.

Come sono state scelte le collaborazioni con i musicisti che hanno preso parte al lavoro?

Abbiamo cercato chi come noi dall’altra parte avesse cercato, nel proprio percorso artistico, una nuova via d’interpretazione della propria musica d’appartenenza nei modi più diversi o originali. Ci piaceva mettere in gioco la tradizione per trovare un nuovo stile e solo chi avesse già avuto questo istinto in precedenza poteva rivelarsi un buon compagno di viaggio, perché in questo progetto non c’è niente di sicuro. Tutto nasce dal volersi mettere a repentaglio, artisticamente s’intende, o in qualche mareggiata imprevista.

Mi racconti l’incontro con Mattia Soranzo che ha curato la regia del dvd?

Avevamo iniziato con lui un rapporto di collaborazione 2 anni fa volendo proiettare delle immagini durante i nostri concerti ed è nata così l’idea di associare ai nostri percorsi di ricerca in viaggio dei racconti filmati, per tenere traccia delle diverse fasi. Quando successivamente è nata l’idea del viaggio in barca ho subito pensato di coinvolgerlo per realizzare un video-documentario e lui ha sposato l’idea, mettendo a nostra disposizione il suo talento. Era peraltro già stato in Albania per altri suoi progetti e la sua sensibilità ed esperienza, così come quella di Kordula Hernler assistente e operatrice preziosa, si sono rivelate cruciali per raccontare in 30’ minuti un viaggio e un’esperienza ricchissimi.

Anche in questo caso il mare Adriatico è stato crocevia di culture?

L’Adriatico è stato per secoli il mare privilegiato per lo scambio e il commercio e parallelamente per l’evoluzione culturale di un popolo che viveva sotto leggi comuni e condivisibili. Il Leone di Venezia è un simbolo tuttora ricorrente sulle effigi di tutti i porti che abbiamo frequentato.

Adesso invece è un mare irto di difficoltà. Le culture di cui è stato crocevia sono nascoste e spesso inarrivabili e lo scambio è reso complicato da barriere burocratiche a tratti insormontabili e dal frequente disinteresse delle amministrazioni pubbliche. Anche con questo ci siamo dovuti confrontare, un altro percorso lungo e spinoso che deve cercare di apprendere qualcosa dalle musiche che hanno ancora voglia di incontrarsi, a tutti i costi.

Quali anticipazioni puoi raccontare del lavoro?

Il disco è composto da 12 tracce che si susseguono come fossero tappe reali o virtuali del viaggio, a volte estremamente diverse tra loro. Vi sono tutti i musicisti che abbiamo incontrato. Ci abbiamo tenuto e conservare le versioni dei brani (Bullet, Potkolo, Il mistero della pizzica bulgara e negli extra del dvd Mallkimi, Zumba) cantate come gli originali dei concerti a Dubrovnik, a Tirana, a Durazzo per dare il segno di come questa musica sia realmente nata dall’incontro con questi nostri amici d’oltremare. Vi sono 3 brani cantati in italiano Lascia che sia la musica, Strade alle strade, Non ho più pace fortemente ispirati dalle energie e dall’istinto che abbiamo appreso in navigazione. Uno in spagnolo, Volveras, il momento onirico del disco, è la riflessione notturna del viaggiatore che vuole trovare se stesso allontanandosi da se stesso. Ci sono alcuni brani scritti da Redi Hasa Circe, 500 baci e Red. Introduco spesso Circe in concerto dicendo che è dedicato a tutte le donne d’Adriatico. Che ci hanno saputo trasformare. Questi tre brani strumentali rappresentano una tappa precisa del percorso musicale della banda. Sono tre momenti in cui diamo voce liberamente alle influenze musicali che abbiamo ricevuto in questi anni di ascolti e di viaggi. Cerchiamo di convogliare in questi momenti la tecnica esecutiva tipica di alcune tradizioni musicali (Albania, Grecia, Macedonia) e la forma compositiva moderna. Sono attracchi in porti che ancora non esistono o che non abbiamo visitato, ma sappiamo che un giorno vi sosteremo. Sirio parla di una stella che pregando si rivolge ai suoi soli. Parla della necessità di rivolgersi a qualcuno nel proprio viaggio, di avere un confidente, una guida, una luce. Ma il brano è sognante e insieme combattuto così come ogni preghiera che riecheggia da troppo lontano. Il brano finale La giostra è un omaggio alla banda (è eseguito da una vera banda di 30 elementi). Un brano originale scritto da Vincenzo Grasso che riporta l’orecchio alle feste a cui noi siamo abituati, con la banda sulla cassa armonica e i fuochi d’artificio a mezzanotte. Un omaggio a chi ha saputo far camminare la musica e portarla fin dentro alle case della gente. Con la banda la musica cammina, appunto.

Foto: www.myspace.com/adriatik

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