Ha conquistato i giovani in Italia degli anni 60/70, con il suo aspetto fuori dai canoni sociali del periodo e con la sua musica, che aveva come tema principale l’Amore universale. La sua creatività è riuscita ad esprimerla non solo nella forma canzone ma anche scrivendo libri e disegnando fumetti. Un artigiano della creatività.
Al microfono di Patrizio Longo incontriamo Don Backy. Iniziamo a parlare del nuovo libro, Storia di altre storie: (1970-1980). La foto personale di quel periodo?
Sì, la mia storia magica musicale, diciamo. Più che altro, un affresco di tutto questo cinquantennio. Con questo secondo volume approdiamo al 1980, ma la mia intenzione è quella di arrivare quasi ai giorni nostri, infatti ho già iniziato a scrivere il terzo (1980/19..). La mia avventura personale racconta di un’Italia che non c’è più, anche nel sociale. Sullo sfondo di questo mio lungo cammino ci sono descritti molti episodi salienti, che hanno caratterizzato la vita di quel periodo. Per fare un esempio, c’è la citazione del primo lancio dello Sputnik nello spazio, con la cagnetta Laika a bordo. Ora vado a braccio, con quello che mi ricordo: la morte di Marilyn Monroe, di James Dean, l’avvento della televisione nel ‘54. I cambiamenti della moda: il taglio dei capelli alla Vergottini per le signore, le borse di Camerino… svariate citazioni che fanno ambiente, e raccontano un’Italia in bianco e nero che non esiste più. La mia storia è un pretesto, un po’ come il viaggio di Dante guidato da Virgilio. Ecco, io sono il Virgilio del lettore, che a questo punto diventa il Dante al quale faccio vivere (o rivivere) quel tipo di Italia.
La sua creatività era ispirata dal cinema americano e dal rock che arrivava in Italia nei primi anni 60?
Dalla metà degli anni 50, per essere precisi. Il rock’n’roll arriva da noi grosso modo nel ‘55, sulla scorta di un brano intitolato Rock around the clock, che faceva parte di un film intitolato Senza tregua il rock’n’roll, nel quale Bill Haley cantava questo brano, che è quello che ha ottenuto maggiore successo. È esploso in tutto il mondo, gradito è apprezzato soprattutto dai ragazzi dell’epoca, che in quel periodo ascoltavano cantanti che erano quelli dei loro genitori o fratelli maggiori. I vari Nilla Pizzi, Giorgio Consolini, Claudio Villa, Carla Boni, eccetera… questi erano i cantanti di tutti, senza distinzione d’età, diciamocelo chiaro. Poi, grazie a questo film, capimmo che il genere di musica che ci avrebbe fatto vibrare era un altro, ed è chiaro che abbiamo cambiato direzione di marcia. Da quella scintilla del rock’n’roll è nata tutta una serie di modernità: sono arrivati i cantautori, e sono arrivati altri generi che hanno rivoluzionato completamente la musica.
Raccontiamo ancora degli anni 60: è di moda il fotoromanzo ma Don Backy era lontano dagli abituali canoni di bellezza, richiesti dalla società. Allo stesso tempo, come anticipato, riusciva ad affascinare giovani con il suo essere controcorrente. In che modo?
Io certamente non potevo vantare una bellezza canonica, però non ero brutto. Ero, semmai, quello che oggi si definirebbe un tipo “alla francese”, con caratteristiche più “di tipo” che “di bellezza”. Aveva una faccia molto più moderna di quanto andasse di moda allora, tant’è vero che poi ho fatto anche del cinema di una certa qualità, anche grazie a quello. “Contro corrente” è un’etichetta che appiccicano addosso a chi ha una certa personalità. Non mi stanno bene le cose storte, e se me le fanno, cerco di prendere le distanze e difendermi, nei confronti di chiunque.
La scelta di lanciare nelle sue canzoni messaggi chiari e diretti è stata una scelta voluta?
No, se si tratta di definire il senso tra “scelta voluta” e “casualità”, quindi per quanto mi riguarda, direi che è una casualità. Altrimenti lo chiamerei stile, o anche una coerenza stilistica. È evidente che, se scrivo in un certo modo, è perché in quel modo “sento”. Le cose che scrivo, le scrivo solo ed esclusivamente quando c’è un’idea, altrimenti non scrivo. Non mi metto mai a scrivere una canzone con l’intento di scrivere una canzone.
Era un periodo in cui la musica italiana del cantautorato aveva un aspetto ermetico. Per quale motivo?
Mah, qui ci sarebbe da fare una discussione talmente lunga che, per svilupparla tutta, ho usato parte del mio libro: inizia con l’avvento di questo tipo di cantautori, che hanno cominciato a proliferare all’inizio degli anni 70. Lì, secondo me, è accaduta una “tragedia nazionale” per quanto riguarda la musica leggera: l’avvento di questi signori, che, inutile negarlo, è stato sponsorizzato ampiamente da una certa sinistra – oggi si direbbe radical chic – che ha capito che questo tipo di cantautori, provenienti dalle università e quindi più acculturati, erano in grado di creare proseliti tra i giovani. La sinistra quindi se ne è servita come “vessilliferi”, e ha fatto in modo che “quella musica” sostituisse quella dei sentimenti, perché quel tipo di canzoni vennero etichettate come retoriche, banali, superate appunto dalla “modernità”. È accaduto come per i film di Fellini, quando per non mostrare di non averci capito niente, le persone di levatura intellettuale più modesta, pur di non sfigurare di fronte ai “soloni”, ne dicevano bene comunque. Infatti, i cantanti “sentimentali” degli anni 60 sono stati emarginati da quel momento in poi. Questo ha creato un grave danno: sono state tagliate le radici invece di potare l’albero. La musica avrebbe dovuto trasformarsi con gradualità. Alcuni ce l’hanno fatta – come Battisti, Baglioni e pochissimi altri – a sfuggire alle forche caudine di quel dettame, perché erano riusciti ad imporsi nel rinnovamento, prima che “gli impegnati” egemonizzassero il mercato. Artisti come Modugno, Milva, Vanoni, Morandi, Ranieri, Little Tony, il sottoscritto, per dirne solo alcuni, sono stati emarginati. Perché oggi c’è una rivalutazione di quel tipo di musica, degli anni 60? Proprio perché, non essendoci più nessuno che scrive in quel modo, se si vuole parlare di sentimenti ci si deve rifare alle canzoni di quel periodo, oppure ad autori che scrivono in quel modo… che purtroppo sono pochi, e diventano sempre meno, anche anagraficamente parlando. I ragazzi di oggi non hanno avuto i maestri giusti per poter saper scrivere canzoni di impianto sentimentale, che viene ancor oggi ritenuto “vecchio” dalle masse urlanti.
Come avviene l’incontro con Adriano Celentano?
L’incontro avviene dopo l’invio, da parte mia, di un “disco provino” che mi sono autofinanziato e che era, La storia di Frankie Ballan. Dopo una serie di circostanze e di peripezie, questo disco è arrivato all’ascolto di Adriano, il quale ha pensato bene di scritturarmi perché ha intuito che questa canzone rappresentava una novità nel panorama dell’epoca e lui cercava proprio artisti con idee nuove. Gli avevo mandato anche alcune foto ed un articolo del settimanale Il musichiere – che usciva in quel periodo – in cui Mario Riva mi aveva fatto ottenere un servizio di ben quattro pagine. Tutto questo ha fatto sì che Adriano mi convocasse a Milano e mi scritturasse per la nascente etichetta discografica Clan.
Ha conosciuto ed ha collaborato con Mina, che è stata anche interprete di una canzone, Sognando, scritta per il Festival di Sanremo ma non accettata per il tema trattato. Anche in questo caso è stato un precursore dei tempi?
Lo sono stato in diversi casi. In questo caso, in particolare, io non avevo scritto la canzone per Mina: è un brano del ’71, che caparbiamente volevo portare a Sanremo e ci provai nel ’72, anche contro il parere della mia casa discografica di allora, che era la CGD. Certamente mi rendevo conto che era una grande novità, visti i testi che c’erano in quel periodo. Sognando esulava un po’ da qualsiasi contesto, ed era proprio per questo che pensavo di poter dire la mia in una maniera diversa. E invece fu bocciato. Un’altra innovazione risale, a un paio d’anni prima, quando produssi per la mia etichetta Amico, un 33 giri intitolato Le quattro stagioni di Don Backy, in cui ad ogni mese era dedicata una canzone, che ne portava anche il titolo. Si trattava quindi di un’unica storia che si sviluppava attraverso dodici canzoni: un lavoro molto complessa e, dulcis in fundo, per la prima volta, si trattava di dodici canzoni nuove, a differenza di quello che succedeva allora, quando i long playing erano solo la raccolta dei 45 giri che erano stati ampiamente sfruttati in precedenza. Oltretutto, ciascuna canzone non era fine a se stessa, ma era legata alla successiva da una coda classicheggiante della durata di una ventina di secondi. Un album che oggi, tra i collezionisti, va a ruba. Dentro c’erano anche 12 litografie del mio amico, il pittore Mario Moletti, anch’esse dedicate ciascuna a un mese dell’anno. Un album veramente fuori dal comune per l’epoca. Una vera innovazione. Un’altra novità è stata la commedia musicale a fumetti. Ho scritto il racconto, poi per quattro anni, l’ho disegnato, l’ho colorato, musicato, e poi è stata filmato dalla televisione. Raidue l’ha mandata in onda nel ’78. Quindi sono tutte cose che, magari, uscivano in anticipo sul gusto dei tempi, e non riuscivano a trovare una sintonia con il gusto del pubblico del periodo.
Potremmo definirla un artigiano creativo?
Sicuramente, e lo sono ancora, lo sono sempre stato: lavoro con le mie mani, faccio tutto quello che produco, da solo, con il piacere di farlo. Come un fabbro ferraio, o un falegname, che creano pezzi unici, artistici. Non li metto su scala industriale come la maggior parte dei miei colleghi… che diventano le aziende di se stessi. Ma è una scelta e a me va bene così. È evidente che questo però comporta anche meno visibilità, e quello che fai, viene apprezzato magari dopo trent’anni. Come sta succedendo per Sognando, che tutti oggi stanno riscoprendo. Cristicchi ha addirittura vinto il festival di Sanremo, tre o quattro anni fa, con una canzone avente un tema simile. Quindi è evidente che qualche passo avanti lo sono sempre stato, anche con queste cose che sto facendo oggi. Chi ha visto i libri (Questa è la storia… e Storia di altre storie…), si sarà accorto che non esiste un’altra opera simile, una vera enciclopedia, avvalorata e comprovata con foto e una vasta documentazione incredibile. Sono veramente dei capolavori, e me lo dico da solo perché ho il gusto sufficiente per poterlo constatare. Non sono mai stato un ipocrita, e non voglio essere il modesto che si nasconde dietro ad un dito.
Il tema dell’amore è ricorrente nelle sue canzoni, ma lei racconta dell’amore universale, non carnale?
Certamente, in canzoni come L’amore, Poesia, L’immensità, Fantasia… questi sono i titoli che mi sovvengono in questo momento, ho cantato l’universalità. In altre canzoni ho cantato anche di un amore più carnale.
Cosa ricorda del brano L’immensità?
(ride) Non ho un ricordo particolare della canzone. Nacque nel giro di 10 minuti, un quarto d’ora, come tutte le mie canzoni. Come spiegavo prima, una canzone o arriva – e la senti – o non c’è. È inutile che la cerchi dentro la chitarra, nascosta. Non c’è lì dentro.
C’era una musa ispiratrice?
Ispiratrice delle canzoni che raccontavano di un amore “carnale”? Sicuramente mia moglie. Ci sono tanti suoi ritratti tra le mie canzoni: Nostalgia, Io più te… sono tutti dedicati a lei.
Musica, cinema, libri, fumetti: la sua creatività è riuscita ad esprimersi attraverso le diverse forme di comunicazione. Un ricordo della partecipazione al film di Mario Bava, Cani arrabbiati?
Il ricordo purtroppo è triste: il film mi sarebbe servito sicuramente per un grande rilancio, e invece accadde che il produttore fallì, e la pellicola è rimasta nei magazzini per più di trent’anni. Poi, mi risulta che l’unica attrice che figura nel film, un’artista tedesca che si chiama Lea Krueger, ha comprato questo materiale residuale e ne ha fatto un montaggio. Questo film, da dieci anni esce in Vhs e, adesso, anche in DVD. È diventato un po’ un cult perché, peraltro, Mario Bava è considerato il papà dei registi thriller. Si trattava di un road movie veramente ben girato, indovinato anche nella tematica. Purtroppo non ho avuto fortuna, in questo senso: è uscito troppo tardi per un mio rilancio nel cinema. Un’altra anticipazione sui tempi riguarda due commedie musicali in teatro. Oggi le fanno tutti, ma io le ho fatte nel 1980, quando non esisteva nessun cantante – a parte Dorelli al Sistina, ma quella è un’altra cosa – che facesse commedie musicali. Io sono stato protagonista in due, per le quali ho scritto anche le musiche e le canzoni: Teomedio producendola in proprio e Marco Polo, per il Teatro della Tosse di Genova. Per quest’ultima, il grande Emanuele Luzzati ha fatto le scenografie. Ecco, se dovessi definirmi, direi che – al di là dei titoli appiccicati addosso – sono veramente uno dei pochi a meritare quello di pop star della musica leggera italiana.
Immaginando di avere di fronte tutti i suoi brani, a quale si sente particolarmente legato?
L’amore, sicuramente: scritto nel 1964 ed inciso nel 1965, dedicato alla ragazza che poi è diventata mia moglie. Sempre nel ’64 c’era stata un’altra canzone, che s’intitola Cara, anche quella dedicata a lei, ma credo che questa si possa definire semplicemente il prologo del brano che è venuto dopo.
In chiusura del nostro incontro, che racconta del nuovo CD?
Il nuovo CD, che si intitola Il Mestiere delle Canzoni, ne contiene 12. Sono lì a testimoniare la mia voglia di cercare di portare emozioni. Questo dovrebbe – e deve – essere l’aspetto più importante da far risaltare nelle canzoni. Mi auguro di esserci riuscito anche stavolta. Peraltro contiene anche “Vent’anni”, la canzone che avevo mandato al festival di Sanremo di quest’anno e che, dopo 39 anni, mi è stata bocciata per la trentanovesima volta. Non che andare al festival mi avrebbe cambiato la vita, ma sarei stato contento se gli organizzatori, avessero voluto darmi un piccolo riconoscimento per i 50 anni trascorsi a cercare di dare sempre il massimo, e ricordare che anche a Sanremo ho dato molto. Ecco, se hanno una colpa, questi signori hanno quella di un’assoluta mancanza di sensibilità! Ma grazie lo stesso, cercherò di sopravvivere anche questa volta!
Grazie a Don Backy per la disponibilità. Ci regali altri successi come solo lei sa comporre. A presto!
Arrivederci!
Foto: Emiliano Caponi (Don Backy ed Enzo Polito)
Un sincero ringraziamento e
Un sincero ringraziamento e i miei complimenti, per questa intervista, a Patrizio Longo per aver pensato all’Artista Don Backy in questo momento in cui, noi fans, siamo tutti in fermento per l’uscita dei suoi lavori e per avergli dato i giusto spazio per raccontare e raccontarsi. Le mie congratulazioni al Mitico Don per questo traguardo e tutto il successo possibile per queste due opere in uscita, sperando che questo successo non sia fine a se stesso ma che sia anche una pista di lancio per la riscoperta di tutta quella meravigliosa produzione rimasta, ingiustamente, sconosciuta ai più.
Veramente bella questa
Veramente bella questa intervista dove si ritrovano e si evidenziano le caretteristiche che ci fanno amare la personalità di questo straordinario Artista. Chiaro, sincero e giustamente consapevole del suo valore, il grande Don descrive i momenti salienti della sua lunga e ampia produzione artistica. Riguardo a Sanremo condivido in pieno il pensiero espresso da Don Backy circa l’assoluta mancanza di sensibilità da parte degli organizzatori, ma aggiungo che questa mancanza di sensibilità ha generato quella che secondo me è una grandissima ingiustizia. Grazie di cuore a Patrizio Longo.